Ricordo.
Ricordo Uppsala.
Due mesi fa esatti ero a Snerikes, l’ultima sera.
A bere l’ultima birra, l’ultimo shot.
Ad ascoltare l’ultima canzone house, a godermi l’ultima serata nelle nation.
A fare l’ultimo ritorno a casa in bici, a salutare gli ultimi amici.
L’ultimo sonno in quell’orribile letto, la stanza da chiudere l’ultima volta.
E vedere i palazzi di Flogsta che si allontanano dal finestrino dell’autobus.
Per l’ultima volta.
L’ultima.
Di tutto.
Faceva un sacco male, ognuna di queste cose.
Come ad impacchettare la tua vita, pezzo dopo pezzo.
Solo che dopo non la spacchetti più.
La spedisci nelle caverne della memoria, al sicuro, e semmai la riapri lì.
Nella testa, ogni tanto.
La scatola dei ricordi.
Meglio di niente, ma mica la stessa cosa.
E fa impressione come tutto sia così lontano.
Due mesi, praticamente niente.
Ce ne siamo stati cinque, là.
Eppure ci si riabitua in fretta.
Alla vecchia vita, alle vecchie abitudini.
Agli scazzi e alle gioie.
Dopotutto, 23 anni contro 5 mesi, direi che è il minimo.
Che poi è anche bello.
Vuol dire che la tua vita era bella anche qui.
Che c’era qualcosa per cui tornare, che non stavi scappando.
Che sei partito perchè qualcosa di nuovo ti attirava, non perchè il vecchio ti spingeva.
E’ una bella consapevolezza, nonostante tutto.
Perchè ci sono due cose che ho imparato da tutto questo.
(eh sì, il “cosamihainsegnatoquestaesperienza”)
La prima cosa è questa.
Che tu, se vuoi, puoi stare bene ovunque.
Non hai più bisogno dell’ovatta del conosciuto.
Certo, la tua casa è la tua casa. Le tue radici.
Ma la tua casa, ecco, è la tua cameretta.
Ci si sta bene, cazzo se ci si sta bene.
Ma dopo un po’ devi uscire, altrimenti soffochi.
Il mondo, quello sì, è la tua casa.
E’ questo quello che capisci.
Lo capisci da tante cose, tutte insieme.
Dagli amici, dai viaggi, dalla lingua, dalle abitudini.
Capisci che tutto può cambiare, e che tu puoi essere comunque felice.
C’era un guscio, che delimitava l’universo a te conosciuto.
E quel guscio si può rompere, e fuori c’è un mondo.
Si fa un po’ fatica a romperlo quel guscio, dall’interno.
Poi ti invade la luce, un po’ ti spiazza e all’inizio ti senti un po’ sbronzo.
Devi imparare a gestire tutto quel nuovo, è un po’ un casino.
Ma poi, porca puttana, prendi il volo.
E non perchè io abbia toccato i limiti dello sfrenato divertimento e della spensieratezza.
E non ho neanche scoperto una parte di me che non conoscevo.
Niente di tutto questo.
Perchè va un po’ smitizzata, ‘sta cosa.
Tu sei tu, pochi cazzi.
Non si diventa un’altra persona per qualche mese all’estero.
A meno di non essere un terribile represso, il tuo caratterenon si rivolta.
Se ti trasformi per qualche mese all’estero, beh..
La personalità scarseggia, diciamo.
Ma per fortuna non è quello il punto.
Perchè tu sei tu, è vero.
Ma il mondo è tutta un’altra roba.
Ce n’è tanto, ma così tanto, che toglie il respiro.
La gente, il clima, le strade, le facce, i panini, i mobili.
Il suono della lingua, la conversazione, la piccola routine.
Non voglio dire “non è poi così diverso”, sarebbe una cazzata.
E’ tutto molto diverso, altrochè.
Ma, come dire.. non è poi così male.
Forse non il meglio. O comunque quello che sei cresciuto considerando il meglio.
Ma si può fare.
Si può davvero fare.
Ovunque.
Perchè non è una questione di luoghi, di lontananza, geografica e culturale.
Quello che impari è una cosa più profonda, si applica in modo più vasto.
Puoi stare bene qui, come altrove.
Puoi avere ottimi amici qui, ma puoi conoscerne tanti di più.
Puoi amare i tuo cibo, ma puoi scoprirne di diversi.
Puoi volere il tuo clima, ma abituarti ad un altro.
Puoi adorare la tua cultura, ma apprezzare le qualità di quelle lontane.
E’ tutto qui, in fondo.
Il mondo è il tuo paese, ed è tutto per te, se lo vuoi.
“Stretta la soglia, larga la via” dicevano gli antichi.
Ora lo capisco bene.
Il difficile è partire.
Il resto è difficile anche quello, ma è meglio.
Molto meglio.
Poi, certo, non andiamo troppo oltre.
Mica vuol dire che tutto vada bene uguale.
Questo sarebbe il piattume più grigio.
Ci sarà sempre qualcosa che preferisci, qualcosa che scegli fra una rosa di tanti.
Ci mancherebbe, mica è tutto uguale.
Alla fine qualcosa va preso, mica si può continuare a guardare dalla vetrina all’infinito.
Che la scelta sia infinita, non vuole dire che scegliere non abbia senso.
Però almeno sai che il resto è a tua disposizione.
Non ti è precluso, solo perchè ti fa paura, o perchè non ti senti all’altezza.
E questa è una gran bella sensazione.
Ma la scelta, ripeto, alla fine la devi fare comunque.
Ed è per questo che gli insegnamenti sono due.
E senza il secondo il primo probabilmente non ha senso.
Ed è questo.
Che partire, e basta, non serve.
Bisogna “partire per tornare”.
Lo ha detto Renzo Piano.
Una frase quasi buttata lì, ma non me la sono mai scordata.
Perchè altrimenti è tutto inutile.
Se non la si indirizza, se non la si da’ indietro, quella contaminazione è fine a sè stessa.
“A rolling stone gather no moss”.
“Una pietra che rotola non si copre di muschio”.
Anni fa, quand’ero un ragazzino, l’avevo fraintesa.
Pensavo che fosse una cosa positiva.
Non coprirsi mai di muschio, intendo.
Strafigo, il vero viaggiatore vagabondo che non ha vincoli con niente e nessuno.
Madonna, adolescente nitzschie-cobain-kerouachiano.
Invece è l’esatto opposto.
“Chi non si ferma mai non riesce a costruire niente”.
Questo è il vero significato del proverbio.
E non fate quelle facce.
Fermarsi non vuol dire smettere di cercare, smettere di cambiare, di migliorare.
Vuol dire avere uno scopo, un obiettivo.
Qualcosa per cui sbattersi, che dia un indirizzo alla tua vita.
Qualcosa in cui mettere a frutto tutta la roba del punto uno.
Non è una cosa sola, il lavoro, la famiglia o l’immortalità dell’anima.
E’ lo stato d’animo di colui che tiene la barra della propria vita e la porta dove vuole.
O almeno ci prova.
Darsi una direzione.
Banale?
Forse, ma forse no.
Forse è il centro di tutto.
Oh, ma chiariamo subito.
Che altrimenti sembro uno sborone.
Io mica ci sono.
Ma proprio per un cazzo.
Resto ansioso, impaurito e indeciso, come sempre.
Il timone non riesco manco a tenerlo in mano, di norma.
E quando lo prendo cambio la direzione ogni trepperdue.
Forse un po’ ci speravo, che l’erasmus cambiasse ‘ste cose.
Speravo di diventare più sicuro di me, più volitivo, più sciolto.
Invece mica tanto.
O magari è solo che non si vede. Ancora.
Sì dai, così suona meglio.
O forse con tutto sto monologo infinito.
Alla fine vuole dire che qualcosa ho imparato.
Magari anche qualcosa di utile.
So, thanks a lot, Uppsala.
It has been awesome. Truly said.
Chissà se basterà.
Speriamo.
Speriamo che me la cavo.
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Pubblicato in Stream of consciousness | Etichette: amici, cambiamento, casa, consigli, crescere, erasmus, esperienze, insegnamenti, lontano, mondo, monologo, morale, nuovo, partenza, partire per tornare, pensieri, ritorno, rolling stone, stare bene ovunque, vecchio, vicino, vita
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