Quante persone ho visto soffrire per la perdita di un loro caro, nei viaggi attraverso il mondo. Tornavo a casa, e ti raccontavo tutto. Ti raccontavo di ogni persona che avevo incontrato, la storia che mi era stata affidata. Volevo che diventasse anche la tua, papà, sapendo che tu non aspettavi altro che questo momento arrivasse. Ascoltarmi. Salivo nel tuo studio, sotto il tetto di casa, dove lavoravi ore e ore, ogni giorno, immerso nei libri e nella carta. Ti affidavo i miei racconti. Dopo che per anni avevo ascoltato (e in realtà ancora ascoltavo) i tuoi, quelli veri e quelli che uscivano dalla tua meravigliosa fantasia. I personaggi inventati e quelli che erano esistiti. Alcuni, quelli ancora vivi, me li avevi presentati. Entravo, conoscendoli insieme a te, in un mondo straordinario che colmava di sogni la mia esistenza di bambino, la nutriva di invenzioni, di lunghissimi viaggi della fantasia. La fantasia è umanità; è capacità di sentire e capire gli altri. Questo mi hai insegnato, e lo hai insegnato anche a mio fratello Michele, con la complicità della mamma, inseparabile. Ho finito col fare il tuo stesso lavoro, lo volevo da sempre: il giornalista. Interessato, quasi ossessivamente, alla vita della gente, delle persone semplici, degli umili: perché il mondo e la vita li capisci soltanto attraverso di loro. Ascoltandoli. Abbiamo lavorato insieme, tu per me, a volte io per te. Leggevo i tuoi testi, tu i miei. Guardavi le mie immagini. Le commentavi. Volevo capire come le avresti raccontate tu, le cose che vedevo io. Mi regalavi intuizioni che coglievano il mistero dell'esistenza. E le contraddizioni delle quali è prigioniero l'essere umano. Eravamo, in molte cose, simili. Ora sono io a perderti, Plinio, e mi trovo nella stessa situazione delle persone di cui racconto la vita. E forse per la prima volta, davvero davvero, so che cosa significa: lo capisce ogni cellula del mio corpo. Andandotene hai voluto lasciarmi ancora un insegnamento, uno di quelli che mi davi con semplicità e modestia: l'umanità è uno spettacolo straordinario, nel bene e nel male, nel dolore e nella gioia. Quando, anni fa, avevo deciso di diventare free-lance, un giornalista indipendente come lo sei sempre stato tu, indipendente in ogni senso e nel significato più alto della parola, mi avevi invitato al ristorante. Tu ed io seduti a un tavolino. Dovevo parlarti, dirti che volevo partire lontano. Mi avevi ascoltato, mangiando lentamente, e poi, preparandomi con uno dei tuoi sorrisi, mi avevi detto: lo farei anch'io. Sono partito. E partirò di nuovo, papà. Tu sarai sempre con me. Ora ancora di più. Inseparabili.
Quante persone ho visto soffrire per la perdita di un loro caro, nei viaggi attraverso il mondo. Tornavo a casa, e ti raccontavo tutto. Ti raccontavo di ogni persona che avevo incontrato, la storia che mi era stata affidata. Volevo che diventasse anche la tua, papà, sapendo che tu non aspettavi altro che questo momento arrivasse. Ascoltarmi. Salivo nel tuo studio, sotto il tetto di casa, dove lavoravi ore e ore, ogni giorno, immerso nei libri e nella carta. Ti affidavo i miei racconti. Dopo che per anni avevo ascoltato (e in realtà ancora ascoltavo) i tuoi, quelli veri e quelli che uscivano dalla tua meravigliosa fantasia. I personaggi inventati e quelli che erano esistiti. Alcuni, quelli ancora vivi, me li avevi presentati. Entravo, conoscendoli insieme a te, in un mondo straordinario che colmava di sogni la mia esistenza di bambino, la nutriva di invenzioni, di lunghissimi viaggi della fantasia. La fantasia è umanità; è capacità di sentire e capire gli altri. Questo mi hai insegnato, e lo hai insegnato anche a mio fratello Michele, con la complicità della mamma, inseparabile. Ho finito col fare il tuo stesso lavoro, lo volevo da sempre: il giornalista. Interessato, quasi ossessivamente, alla vita della gente, delle persone semplici, degli umili: perché il mondo e la vita li capisci soltanto attraverso di loro. Ascoltandoli. Abbiamo lavorato insieme, tu per me, a volte io per te. Leggevo i tuoi testi, tu i miei. Guardavi le mie immagini. Le commentavi. Volevo capire come le avresti raccontate tu, le cose che vedevo io. Mi regalavi intuizioni che coglievano il mistero dell'esistenza. E le contraddizioni delle quali è prigioniero l'essere umano. Eravamo, in molte cose, simili. Ora sono io a perderti, Plinio, e mi trovo nella stessa situazione delle persone di cui racconto la vita. E forse per la prima volta, davvero davvero, so che cosa significa: lo capisce ogni cellula del mio corpo. Andandotene hai voluto lasciarmi ancora un insegnamento, uno di quelli che mi davi con semplicità e modestia: l'umanità è uno spettacolo straordinario, nel bene e nel male, nel dolore e nella gioia. Quando, anni fa, avevo deciso di diventare free-lance, un giornalista indipendente come lo sei sempre stato tu, indipendente in ogni senso e nel significato più alto della parola, mi avevi invitato al ristorante. Tu ed io seduti a un tavolino. Dovevo parlarti, dirti che volevo partire lontano. Mi avevi ascoltato, mangiando lentamente, e poi, preparandomi con uno dei tuoi sorrisi, mi avevi detto: lo farei anch'io. Sono partito. E partirò di nuovo, papà. Tu sarai sempre con me. Ora ancora di più. Inseparabili.