Siamo arrivati al punto di informare una madre della morte della figlia in diretta televisiva. Siamo al punto in cui si vorrebbe una nazione intera ad invocare la pena di morte ad personam per il mostro di turno, dimenticando che se poi la pena di morte c’è, c’è per tutti. Siamo al punto in cui l’informazione non informa ma fomenta, muove le coscienze a suo piacimento, ci fa essere garantisti, giustizialisti, indifferenti come serve, ci fa piangere a comando, turba i nostri sonni nel momento e per il tempo che vuole per poi addormentarci da svegli.
A un certo punto spegneranno le luci. Calerà il silenzio. Dimenticheremo nel giro di poche ore la triste vicenda di Sarah e l’odiato viso dello zio animale. La televisione ci offrirà qualcosa di nuovo, ci darà in pasto un’altra storia, un altro racconto, modulando le corde del nostro umore e del nostro sentimento. Torneremo magari a deprecare la pena di morte negli USA, in Iran, in Cina. Ci serviranno magari una vicenda rilassante, tanto per farci placare e rilassare dopo una stressante giornata di lavoro. Torneremo a godere delle curve degli oggetti dalla forma femminile che imprimono nella nostra mente e nella nostra concezione della donna l’idea di strumento di piacere, desiderio, pronta a soddisfarci per poi essere rimessa sullo scaffale, sulla mensola della televisione. E se non lo fa possiamo anche romperla, tanto è un oggetto.
Godremo della vista del cinepanettone annuale e del panettone di carne di Belen. Rideremo delle storie piccanti di Corona o dell’outing dell’omosessuale ritrovato di turno. Finchè non spunterà un altro mostro. Di mostri ce ne sono tanti. I giornalisti lo sanno. E quando saltano fuori è una vera benedizione.