A piedi nudi sul palco. Al teatro Alighieri, Mozart viene dal Continente Nero

Creato il 03 luglio 2011 da Naimasco78

Para ponzi ponzi po.

Se me l’avessero detto non ci avrei creduto. Ma il Ravenna Festival riesce davvero a stupirmi e conquistarmi, anno dopo anno, con la sua tendenza all’innovazione e alla ricerca artistica. Il maestro Mozart avrebbe sicuramente gradito questa rivisitazione del suo Flauto Magico, Impempe Yomlingo, versione afrikaans realizzata dal pluripremiato regista Mark Dornford-May, un esplosione di colori, voci, suoni etno-afro-poco chic ma molto efficaci. Povera Ravenna, un po’ troppo scioccante direi per il pubblico very important person dell’Alighieri, ma ci voleva, che diamine, uno scossone di contaminazioni e suggestioni per svecchiare un  po’ quell’atmosfera un po’ troppo araldica e impolverata del Ravenna Festival. Molti avranno pensato che gli artisti coinvolti in questa rappresentazione siano gli stessi che vendono braccialetti e accendini nelle spiagge di Punta Marina; immagino già i commenti: “di giorno vendono cianfrusaglie in spiaggia e di sera ballano e cantano”. Signori miei, non credo siano proprio gli stessi, ma vi posso assicurare che in ogni vu cumprà che incontriamo sotto l’ombrellone e che liquidiamo di solito in un nanosecondo c’è molto più talento e intelligenza che in tutta l’Italia messa assieme.

Aveva ragione mio babbo quando diceva: ” i cioccolatini hanno una marcia in più”. Mi hanno lasciata davvero senza parole, con la loro innata musicalità, il loro senso del ritmo, così spontaneo, così allegro. Si chiama talento naturale e non si impara in nessuna accademia di danza, canto, arti varie: noi italiani, nemmeno dopo secoli e secoli di studio, riusciremo mai a raggiungere un tale livello di coralità. A parte il fatto che la maggior parte degli artisti della compagnia di Isango Ensemble è sicuramente sotto la quarantina; che tutti sanno fare tutto, cioè non esiste un musicista che sa solo suonare, ma tutti ballano, cantano e suonano divinamente in maniera intercambiabile; che il novanta per cento di loro supera abbondantemente i centocinquanta chili ma si muove con una leggerezza ed una agilità che io non ho nemmeno nel fare una rampa di scale (il mio personaggio preferito è un mix di Barry White e Quincy Jones che si muove come se avesse lo stesso peso specifico di quelle patatine insapore che ti danno al ristorante cinese come antipasto).

La scena è spoglia, sembra fatta con materiali di recupero ed è perfettamente in linea con quella che può essere la visione globale di un Paese dell’Africa nera; l’orchestra è sostituita da una serie di marimbe suonate, come vi dicevo, da tutti, a seconda di chi è libero in quel momento, ma dirette in maniera magistrale dal vulcanico Mandisi Dyantyis, bello come Ben Harper, abbastanza folle di creatività quanto lo era Jean Michel Basquiat, incredibile anche nel suonare una tromba jazz che nello spettacolo sostituisce il delicato flauto. La genialità della composizione è l’alternanza di lirica mozartiana a balli tipici africani, come se le partiture di Mozart si adattassero perfettamente alle loro coreografie, in una fusion di contaminazioni e suggestioni tanto da far venire il mal d’Africa rimanendo seduti comodamente nel proprio posto a teatro.

Tre i momenti indimenticabili: il primo, l’arrivo degli spiriti, una triade di Jackie Kennedy in rosa confetto versione Cape Town, deliziose quanto Whoopi Goldberg nei panni di Rita Miller in Ghost; il secondo, quando gli spiriti si trasformano in tre angelucci in tre modelli di taglie diverse, small, medium and large, che ricordano tantissimo Aretha Franklin e annesso coro mentre canta Think in The Blues Brothers; il terzo, quasi alla fine dello spettacolo, quando si presentano tre dei Jacksons Five, o almeno questo sembravano, con tanto di jeans a zampa e parrucche iper gonfie. In tutto questo, l’esecuzione viene svolta senza scarpe, ovvero tutti gli artisti sono scalzi, direttore d’orchestra compreso. Il risultato comunque è davvero fuori da ogni catalogazione e credo che questa sia davvero l’interpretazione che forse maggiormente rispecchia quello che era lo spirito di Mozart: ironico, controcorrente e decisamente divertente. Davvero, basta con le versioni blasonate, è ora di tirar fuori la vera anima dei compositori, spogliarli di quella sacralità che per secoli li ha portati sulla scena. Mozart, se avesse potuto scegliere, avrebbe sicuramente optato per questa versione, che meglio di tutte le altre restituisce l’idea di genio e sregolatezza che gli appartieneva.

Mancava solo Shakira.



Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :