Il merito di A portata di mano è senza dubbio la fiducia nei legami, quei legami in cui si prometteva un “per sempre” che il tempo ha smentito, perché le persone si perdono di vista, si allontanano, a volte. E ammiro Felix, sebbene in un primo momento non riuscivo a capire il perché delle sue azioni (se lo domanda egli stesso), lo ammiro per la sua tenacia nel voler recuperare a tutti i costi, addirittura attraverso un rapimento, un rapporto di amicizia ormai perso. La molla che fa scattare tutto questo è l’invito al matrimonio di Katharina, perché non era stato rispettato “l’ordine prestabilito”: Felix doveva essere il primo, Katharina la seconda, e Konrad l’ultimo, dopo un bel po’. I tre amici si trovano così nuovamente riuniti e pagina dopo pagina Rammstedt ci aiuta a conoscerli sempre meglio attraverso una scrittura ricca di flash back, che rivela gli interrogativi, i timori, le speranze di Felix.
Un libro senz’altro molto curato e che non mi è dispiaciuto leggere, ma nel quale non sono riuscita a rispecchiarmi e mai mi sono immedesimata in Felix. Forse per una convinzione personale, che il passato è passato, e, contrariamente alle aspettative dello scrittore, chiuso il libro non ho pensato neanche uno momento di chiamare gli amici di un tempo.
Simona Leo
Tilman Rammstedt, A portata di mano, traduzione di Carolina d’Alessandro, Del Vecchio Editore, pp. 221, euro 13