O, per essere più chiari, se le graduatorie non piacciono a chi vale di più, e non piacciono affatto, perché di una lentezza disarmante e perché vanificano la selezione e sono dominate dall'arbitrio, è anche vero che queste hanno un indubbio merito: non consentono capricci o colpi di coda, che nel nostro Paese sono sempre nefasti. Ciascuno di noi professori occupa, in una graduatoria provinciale, un posto che è il frutto di un punteggio ottenuto tramite tutti i parametri previsti, laurea, abilitazione, titoli e servizi. Brutale, come ogni somma (e penso agli Esami di Stato della scuola secondaria di secondo grado), ma trasparente e, nei limiti in cui ha senso dirlo, consente anche di prevedere, se non di pianificare, un minimo la propria non-carriera docente. La paralisi di una partita non può essere combattuta con un'allegro e improvvisa, quanto irresponsabile, cannonata di nuove carte e di nuove regole.
Nessuna delle persone che io conosco e che stimo ha mai amato questa palude, per l'ovvia disinteresse nei confronti di chi si troveranno di fronte gli studenti e per l'immobilità a cui costringe il personale, ma ci hanno costretti a esserne risucchiati (per quanto mi riguarda, ormai sono dieci anni, e sono tra i meno sfortunati). Ora noi docenti ci troviamo nelle condizioni di affrontare, all'improvviso, un concorso per posti che non si sa dove siano (perché non si immettono di ruolo le prime persone in graduatoria?) e non si sa quando verranno effettivamente assegnati. Ovvero: ci troviamo immersi in una macchina infernale, in un concorsificio permanente che forse anestetizza o droga coloro che senza colpa sono in fondo a una graduatoria e che non hanno quasi mai messo piede a scuola, ma soprattutto tiene noi, che per sorte o per merito a scuola andiamo ogni giorno, in continua tensione per qualcosa che non ha fondamento e non può trovare esito positivo in tempi ragionevoli.
Su quali basi un funzionario pubblico in un governo tecnico, insediatosi per un tempo breve per rimediare ai problemi in atto e chiaramente senza nessuna possibilità di programmazione a lunga scadenza, su quali basi una persona che a noi docenti chiede il sacrificio di lavorare gratis per sei ore frontali in più (che significano almeno altrettante ore di lavoro a casa) ci sottopone a questa macelleria sociale? E un professionista, un laureato (le lauree fanno parte del sistema di istruzione che lei gestisce, Prof. Profumo, dovete decidere se vi servono i grandi numeri o la selezione e la qualità), una persona che lavora tutti i giorni per un misero stipendio e pur con le penalizzazioni economiche dei liberi professionisti, una persona che si coltiva giorno dopo giorno... come dovrebbe affrontare una persona un concorso che ha tutta l'aria di essere una roulette russa, compiti per cui i commissari che correggono le prove (si presume di un certo impegno - e comunque di impegno inconsueto) vengono pagati 50 centesimi a compito e, per di più, con criteri di valutazione che le singole commissioni possono adattarsi a proprio genio?