Mi sembrano interessanti e ancora attuali queste osservazioni dal lontano 1966:
Emilio Tadini, Crisi italiana alla Biennale, in “Successo”, aprile 1966, a. VIII, n. 4, pag. 107
Tra non molto si aprirà la Biennale d’arte di Venezia. Può valere la pena di parlarne un po’, dato che in tutto il mondo questa è considerata come una delle più importanti manifestazioni del genere, se non la più importante. Certo, si ha l’impressione che gli italiani addetti ai lavori non siano ancora riusciti a capire fino in fondo tutto quello che è, tutto quello che significa, e tutto quello che può valere la Biennale di Venezia. O almeno diciamo che gli stranieri hanno dimostrato di averlo capito prima e meglio. Da troppo tempo, alle Biennali, confrontando il padiglione italiano agli altri, l’impressione generale che se ne ha è questa, e non può essere che questa: una serie di padiglioni stranieri ordinati e presentati con semplicità e chiarezza, e un padiglione italiano troppo affollato, confuso, disordinato. Ciò non vuole affatto dire che nei padiglioni stranieri siano regolarmente ammessi artisti che valgono di più, in assoluto, di quelli presentati nel padiglione italiano. Ma è un fatto innegabile che i tre o quattro artisti in grado di esporre un buon numero di opere ciascuno in una sala, possono essere visti in condizioni di gran lunga miglio di quanto lo possono una trentina di artisti costretti a esporre le loro opere, poche o molte che siano, in un labirinto di sale, salette e corridoi. Questa, naturalmente, non è certo una grande scoperta. È diventato quasi ovvio, a ogni Biennale, fare considerazioni del genere. E le critiche a tale stato di cose sono così numerose, e provengono da parti tanto diverse una delle altre, che viene da chiedersi chi mai abbia interesse a lasciare il padiglione italiano così com’è – dato che è sempre così –, e si finisce per avere l’impressione che l’organizzazione del padiglione italiano alla Biennale di Venezia dipenda da qualche forza misteriosa, invulnerabile, sorda a ogni supplica, critica o deprecazione. Intanto, Biennale dopo Biennale, i padiglioni stranieri continuano ad imporre ogni volta qualche nome, mentre, nel padiglione italiano, data al situazione, l’obbiettivo più alto che un espositore può porsi e spesso quello di sopravvivere in tanta confusione. Per un giovane artista straniero, arrivare alla Biennale costituisce veramente un ottimo punto di partenza per una carriera internazionale. Per un giovane artista italiano arrivare alla Biennale non vuol dire ancora niente: bisogna vedere se ci arriva con il “gruppo di opere”, che non serve a niente, o con la sala, e se ci arriva con la sala bisogna vedere se è una sala buona o cattiva, e anche se la sala è buona può non voler dire altro che un’occasione sprecata. Forse gli organizzatori agiscono in base alla teoria che per ogni artista straniero l’Italia – sempre pronta, come si sa, a sostituire le ricchezze naturali con il suo genio – può esprimere per lo meno una decina. E forse questa teoria sarà altamente patriottica. O forse gli stessi artisti che hanno deplorato questo stato di cose accettano alla fine anche la paretina nel corridoio peggio illuminato per di essere presenti alla Biennale, e la cosa può anche essere comprensibile; e gli stessi critici – o artisti – che hanno disapprovato l’organizzazione, una volta chiamati a far parte del comitato di scelta si trovano nella condizione di dover far entrare il maggior numero di artisti che li interessano più da vicino, e anche questo è comprensibile. È un fatto comunque che i risultati sono deplorevoli. Una crisi congenita, come questa, non può essere superata che con rimedi molto decisi. E credo che la soluzione più ragionevole sia questa: primo, sostituzione del padiglione italiano come è adesso, del tutto sproporzionato, con un padiglione più o meno simile a quello degli altri per quanto riguarda lo spazio utile per l’esposizione; secondo, nomina, ad ogni Biennale, di un commissario unico, interamente responsabile degli inviti. La scelta risulterà limitata, ma questo non potrà essere che un vantaggio. La scelta potrà anche risultare molto parziale: ma almeno una situazione particolare sarà rappresentata con chiarezza, e poi l’avvicendamento dei commissari renderà possibile, nel corso di un certo numero di Biennali, una documentazione ordinata di tutta una serie di tendenze dell’arte italiana di oggi. Non si tratta infine di mettere a punto una buona organizzazione di propaganda commerciale. Ma di agire in profondità con la scelta che se non proprio esemplare (ci rende perfettamente conto delle grosse difficoltà) sia almeno il più possibile indicativa. Solo in questo modo tutti gli artisti, critici e mercanti stranieri, venendo a Venezia in occasione della prossima Biennale potranno considerare la visita al padiglione italiano come una delle occasioni più interessanti della rassegna.
In Archivio Testi Emilio Tadini – Archivio Eredi Tadini – a cura di Francesco Tadini