Onore al merito a Bersani - per inciso l'imitazione di Crozza gli sta facendo un gran bene - che è riuscito a imporre con una battuta l'esito delle ultime elezioni amministrative: "Vinciamo noi, perdono loro". "Loro" hanno farfugliato che, a parte Milano, è stato un pareggio, affermazione ridicola e ingenua, sbeffaggiata con ironia da una vignetta di Vincino sul Corriere: a uno che gli chiede come è andata, un malconcio B., in divisa e feluca napoleoniche, risponde: "E' stato un pareggio. Eccetto Waterloo, è stato un pareggio". Il fatto che la battuta sia efficace non significa che sia vera e infatti non lo è, o lo è solo in parte. Certamente "loro" hanno perso, ma "noi" non abbiamo proprio vinto, piuttosto abbiamo perso un po' meno. Alle elezioni questo basta e facciamo bene quindi a essere contenti, ma non smettiamo di ragionare.
Cominciamo a guardare i numeri, che sono fondamentali in qualunque elezione: i numeri veri, i voti, perché le percentuali a volte possono giocare brutti scherzi. Se si considerano le 13 città più grandi in cui si è votato, il centrodestra ha perso 56mila voti rispetto alle precedenti comunali, mentre il centrosinistra ne ha persi ben 175mila; se si considerano invece le regionali dell'anno scorso - il dato è più significativo, perché da un anno all'altro il quadro politico cambia velocemente - il centrodestra perde circa lo stesso numero di voti, ossia 57mila, mentre il centrosinistra ne guadagna 66mila. Qui c'è una prima inversione di tendenza, il segno che qualcosa è cambiato; è difficile che ci sia stato un travaso di voti da uno schieramento all'altro - tanto più in una situazione di così accesa conflittualità - ma probabilmente il centrosinistra adesso riesce meglio del centrodestra a mobilitare i propri elettori di riferimento.
Vediamo ora qualche situazione più concreta. Il centrosinistra a Milano è passato da 270mila a 281mila voti, un risultato importante, di cui va dato merito a Giuliano Pisapia, ma non ha sfondato, ha sostanzialmente tenuto le proprie posizioni; il centrodestra è sceso invece da 328mila a 257mila voti: sono queste 70mila persone che hanno deciso di non votare la Moratti ad aver cambiato radicalmente il quadro politico milanese, e forse italiano. A Bologna il centrosinistra ha vinto al primo turno, mantenendo quasi tutti i propri voti (solo 1.319 in meno); il centrodestra bolognese ne ha persi invece quasi 10mila. A Torino hanno perso voti sia il centrodestra che il centrosinistra - rispettivamente 19mila e 16mila - e quindi si è mantenuto l'equilibrio che ha permesso a Fassino di vincere al primo turno. A Napoli il centrodestra ha mantenuto i suoi voti (solo 902 in più), mentre il centrosinistra ne ha persi circa 90mila; non c'è nessun "effetto B.", sono i napoletani del centrosinistra che hanno girato le spalle a un gruppo dirigente in cui non si riconoscono più.
Alla luce dei numeri credo sia chiaro che la situazione per il centrosinistra continua a essere difficile. C'è poi la situazione particolare del Pd, che non esce rafforzato dal voto. Se gurdiamo le singole situazioni, ha vinto il centrosinistra più che il Pd.
Di Pisapia ho già parlato in un'altra "considerazione" - la nr. 178 del 16 novembre - commentando con favore la sua vittoria alle primarie e la stupidità del gruppo dirigente del Pd di non averlo scelto da subito come proprio candidato. Pisapia è certamente un uomo di sinistra, ma non è un radicale; viene dalla grande borghesia milanese e infatti è stato un grave errore della Moratti e dei suoi consiglieri presentarlo come un estremista. Pisapia, per storia personale, per convinzioni, per quello che ha detto e ha fatto, non può essere considerato come il candidato della sinistra radicale, e i milanesi, che lo conosco, lo sanno benissimo; per questo ha probabilità di vincere le elezioni. Pisapia, indipendentemente dal fatto che sia stato indicato da questo o quel partito, e anche indipendentemente dall'esito del ballottaggio, è stato un ottimo candidato, perché conosce la città, ci ha vissuto e lavorato, è conosciuto come una persona seria e soprattutto si sa che se sarà sconfitto continuerà a fare politica a Milano, come ha sempre fatto.
Le elezioni, tanto più le elezioni amministrative, si vincono quando si candidano persone in grado di vincerle: sembra una banalità, mi rendo conto, ma troppe volte è un assunto che si dimentica. A Torino le elezioni non le ha vinte tanto il Pd quanto Piero Fassino, che è una persona seria, che i torinesi conoscono molto bene, che non ha mai smesso di occuparsi della sua città, anche quando ha avuto altri incarichi. Non si diventa sindaco in una grande città, complessa come Torino, con una percentuale di oltre il 56% se non si è molto stimati, al di là delle opinioni politiche. A Cagliari - se ne parla meno, ma è un risultato altrettanto importante di quello di Milano - il centrosinistra ha costretto il centrodestra al ballottaggio, candidando un giovane, Massimo Zedda, indicato dal partito di Vendola. A Napoli, come in altre realtà del Mezzogiorno, il Pd può difficilmente essere considerato ancora un partito; si tratta ormai di un guscio vuoto, un'insegna, che raccoglie i comitati elettorali di questo e di quel notabile locale, con il loro pacchetto di tessere, con i loro clientes, con i loro interessi, più o meno leciti. Di questo Bersani e il gruppo dirigente nazionale deve occuparsi da subito, se non si vuole che la situazione degeneri ulteriormente.
Per avere un quadro completo di questa tornata elettorale primaverile, bisogna aspettare l'esito dei ballottaggi e anche dei referendum di giugno. Io sono convinto che qualcosa succederà, anche se non immagino cosa. Qualcosa questo primo turno ha detto: i cittadini chiedono chiarezza di posizioni e serietà. Il centrosinistra riesce ancora a esprimere, più del centrodestra, candidati seri, conosciuti e riconosciuti dai loro concittadini, persone che mantengono gli impegni. Fatica a esprimere chiarezza di posizioni, rimane - almeno per me, sapete come la penso - il "peccato originale" della nascita del Pd; c'è spazio a sinistra. Magari comincerà a delinearsi da Milano.
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