Anzitutto l’affresco del Caravaggio conservato a Santa Maria del Popolo, ebbi modo di ammirarlo alcuni anni fa, è di una potenza visiva sconvolgente. Per essere precisi, contiene un’inesattezza: folgorato sulla strada per Damasco, Saulo non cadde da cavallo come riferisce la tradizione orale. Basta verificare ciò che racconta lui stesso - e così Luca negli Atti degli Apostoli: Saulo andava a piedi. Per giunta nemmeno fu folgorato, bensì si trattò di un attacco epilettico, la malattia sacra per eccellenza (vedi Ippocrate), ricondotta dagli antichi a cause divine. Curato e guarito dalla cecità temporanea per opera di Anania, esponente di spicco della comunità damascena, Saulo si convertì al cristianesimo assumendo il nickname Paolo e venne battezzato nel fiume Barada (oggi ridotto a un letto di fango secco e verdastro). Sulla scelta influì certamente la profonda impressione per quanto capitatogli, ma probabilmente anche qualche senso di colpa: fino a quel momento era stato uno zelante persecutore dei cristiani di Gerusalemme e il Sinedrio l’aveva inviato a Damasco per cacciarli da lì con le cattive.
Damasco appunto. Dall’alto della porta della città vecchia, Paolo venne calato in una cesta dai suoi discepoli affinché sfuggisse all’ira degli ebrei, i quali lo ritenevano (non a torto) un rinnegato. La Finestra di San Paolo è un luogo sacro per la comunità cristiana, ma è meglio non farsi suggestionare. I luoghi sacri di Damasco cambiano sede ogni tot anni, giusto perché tutti i residenti del quartiere abbiano la possibilità di spillare qualche moneta ai turisti gonzi di turno.
Accanto alla porta sta la Cappella di San Paolo, una bruttura moderna (come numerose altre chiese nel Vicino Oriente) che non vale la pena commentare.
Alcuni teologi sostengono che fu Paolo ad aver fondato il cristianesimo. Altri che anche Paolo, come Gesù, era un ebreo rimasto nell’ebraismo e il distacco del cristianesimo dalla religione madre avvenne solo nel II secolo. Quest’ultima ipotesi pare la più probabile. Solo una stupidaggine invece quella di un noto docente universitario torinese (non ne farò il nome neppure sotto tortura, per rimanere in tema), il quale afferma che Paolo rappresentò per Gesù una specie di Dell’Utri. Va bene, Paolo era misogino, ma intanto aveva origini turche (Tarso si trova a un tiro di schioppo dal confine siriano) e da un turco non ci si può aspettare molto neppure oggi. E poi appariva piccolo di statura, stortignacccolo, con la testa grossa: le donne non facevano certo la fila e lui qualche umano risentimento doveva pur averlo covato. Se poi la Chiesa Cattolica lo ha preso sul serio in fatto di morale sessuale, beh, non è certo colpa sua.
Paolo tuttavia sapeva scrivere bene, le sue lettere costituiscono uno degli epistolari più famosi, e conosceva le lingue (perlomeno greco, ebraico e aramaico). Viaggiò in lungo e in largo per tutta l’Asia Minore fino all’Arabia, poi fu a Roma e forse in Spagna. Era un ottimo comunicatore (i Paolini si chiamano così non a caso), predicatore instancabile e abile organizzatore: a lui si fa risalire l’istituzione di un gran numero di comunità protocristiane sparse un po’ ovunque. Insomma, un intellettuale di tale levatura oggi ce lo sogniamo. Invece non solo resistette all’impulso di fondare (per dire) un movimento cinquestelle, ma, nonostante fosse civis romanus, finì pure decapitato. Di certo, si sa che nessuno gli pagò mai le vacanze ad Antigua.
(Tutte le fotografie, tranne la prima, sono state scattate a Damasco il 5 e il 10 agosto 2008)