Scrivere è una forma di conoscenza, dice qualcuno. Io non credo che sia esattamente così, ma qualcosa di simile. Scrivere, come parlare, costringe a dare ordine alle idee: verbalizzare un pensiero significa dargli una forma, decidere definitivamente qual è la tua opinione e che cosa pensi, ovvero affermare qualcosa che non può essere il suo contrario né, nella maggior parte dei casi – oppure sempre, se scrivi davvero bene, se sei cosciente di quello che fai quando scrivi, se scegli con attenzione le costruzioni e le parole – avere una sfumatura diversa da quella che gli hai dato in quel momento. Le idee, invece, sono liquide, o meglio ancora quantistiche, sono come il celebre gatto di Schrödinger, il paradosso mentale secondo cui un gatto chiuso dentro una scatola può essere contemporaneamente vivo e morto, due stati inconciliabili nella nostra esperienza, eppure contemporanei e possibili nella meccanica quantistica – e non certo per un gatto, naturalmente – e solo nel momento in cui apri la scatola il gatto passerà definitivamente a uno dei due stati, sarà solo vivo o solo morto. Scrivere è aprire la scatola, decidere se la nostra idea-gatto è viva o morta, definirne i confini precisi, perché finché sta nel nostro cervello senza che la verbalizziamo è ancora capace di essere più cose apparentemente contraddittorie allo stesso tempo, e scrivendole, dichiarandole, diamo loro un’esistenza incontrovertibile. Dici: che cosa c’entra tutto questo con il blog? C’entra perché ho finalmente capito perché non lo aggiorno quanto vorrei, perché non riesco a trasformarlo in un appuntamento bisettimanale nonostante abbia inventato e messo alla prova – senza pubblicarle – decine di rubriche brillanti per aggiornarlo due volte alla settimana senza problemi. È che non sto bene, e scrivere, dare un senso alle cose, prendere delle decisioni, mi costa uno sforzo immane, sovrumano, che il più delle volte non riesco a compiere. Quindi scusatemi se non scrivo abbastanza spesso, se nonostante i contatti che crescono e gli attestati di stima che mi arrivano non riesco a far diventare questo blog un appuntamento fisso e regolare. Temo che sarà così ancora per qualche tempo, perciò vi chiedo di pazientare, di fare – se volete – segretamente il tifo per me e di considerare che, ogni volta che leggete qualcosa su questo blog, ho vinto una personale, piccolissima battaglia contro me stesso e la mia incapacità di immaginare ancora un senso, un mondo, un futuro.
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