A Royal Weekend
di Roger Michell
con Bill Murray, Laura Linney, Olivia Williams
UK 2012
Tra le
tante magie che la settima arte dispensa, quella di rendere la vita più bella e
generosa è una costante di molto cinema classico. A questo genere di film
appartiene per l'appunto “A Royal Weekend” di Roger Michell, il
regista diventato famoso per aver
diretto Hugh Grant e Julia Roberts nel celeberrimo “Notthing Hill”(1999). La
citazione
del quale non nasce da una necessità puramente nozionistica, ma
piuttosto dal
fatto che le due opere, seppure diverse per finalità ed intenti hanno in
comune
il fatto di umanizzare personaggi e situazioni a dir poco straordinarie.
Così
se nel primo caso si trattava di mettere insieme appassionatamente un
uomo
comune ed una star cinematografica, facendoli innamorare nel pittoresco
scenario
del sobborgo londinese, in questo caso a far saltare il banco dei
protocolli e delle regole già scritte sono niente di meno che il
presidente americano
Franklin Delano Roosevelt (Bill Murray) ed il re d'Inghilterra Giorgio VI, da poco
omaggiato ne "Il discorso del re"(2012), destinati ad incontrarsi in un
weekend del 39, per sancire il patto d’alleanza che avrebbe spinto
gli Stati Uniti ad intervenire a favore dei cugini durante il secondo
conflitto bellico.
Un evento passato agli annali della storia che il film racconta dietro le quinte, ipotizzando non solo la nascita di
un’amicizia tra i due “statisti”, ma soprattutto testimoniando la relazione, desunta dai
diari postumi dell’interessata, tra il politico e Daisy Suckley (Laura Linney)
lontana parente destinata a condividere anche a livello sentimentale – la donna
di fatto diventerà l’amante di Roosevelt - le escursioni presidenziali ad Hyde Park
sull’Hudson, dimora in cui si svolsero i cerimoniali per la firma del trattato.
“A
Royal
Weekend” è un opera che a prima vista potrebbe spaventare gli amanti
del
cinema disimpegnato, ed invece, pur svolgendosi in un contesto
formalmente ineccepibile, con
attori popolari soprattutto tra i frequentatori di cinema d’essai – a
parte Murray che pero è ormai lontano dalla popolarità di “Ghostbuster”
(1984)
- il film appartiene a quella categoria
destinata ad ottenere consenso incondizionato per una leggerezza che
diventa sublime nel sottotono della
vicenda amorosa vissuta dai due protagonisti, tanto improbabili nelle
diverse appartenenze sociali e culturali, quanto complementari nella
tendenza a ricercare una vita lontana dai riflettori. E poi nella
titubanza e negli scambi di
battute tra i consorti reali, spaventati da una realtà così lontana dai
rigidi
protocolli di Buckingam palace. Modi differenti di intendere la vita che
il
film si diverte a sottolineare con scene esemplari come quella del re
che
continua a salutare una folla inesistente – essendo in campagna ed in un
posto
isolato non c’è nessuno ad aspettare il suo passaggio
– oppure con il tormentone dell’hot dog, pezzo forte del banchetto
presidenziale, che invece i due ospiti considerano inadeguato per il
loro lignaggio e che per questo vorrebbero evitare di mangiare. Un’
eterogeneità culturale ed antropologica, presente anche nei rispettivi
codazzi,
destinata a ricomporsi nella villa di Hyde Park, alla pari
di altre famose dimore cinematografiche, pensiamo a “Casa
Howard” oppure a “Gosford Park”, simbolo nostalgico di un mondo ormai
scomparso. La
bravura di Michell è quella di far sembrare estemporaneo le conseguenze
di un meccanismo perfettamente oliato. E se il rischio più grande è
quello di
un sublime manierismo, ci pensa la bravura degli attori, tutti grandi
senza
nessuna distinzione, a restituire il sapore di un intrattenimento evergreen