Al loro posto, intensi sguardi accompagnati da silenzi o frasi apparentemente insignificanti, dette a mezza bocca che manifestano in tutta la loro carica emotiva, l’affetto sincero e la gratitudine che i due protagonisti provano l’uno per l’altra. Ann Hui proprio come in un quadro, riesce a dipingere una storia dai toni chiaroscuri, dove malinconia e gioia si intrecciano, interscambiandosi fino quasi a confondersi, tanto che alla fine, quando compaiono i titoli di coda sullo schermo, il senso di smarrimento e gli occhi lucidi non dipendono dalla sopraggiunta quanto inevitabile morte che anche lo spettatore più reticente non può che accettare con lucida rassegnazione, quanto piuttosto dal pensiero che sia esistita una donna come tante che ha saputo vivere la sua esistenza in maniera straordinaria. La regia compie un ottimo lavoro di sottrazione, in cui non si lascia spazio alla disperata e stucchevole retorica a cui il cinema è avvezzo quando si parla di un tema difficile come quello della morte; si compie al contrario un lavoro più complesso, quello di mostrare i rapporti umani nella loro veridicità, con quella genuinità rappresentata anche solo dagli oggetti, i ricordi o un semplice piatto caldo che servono a farci capire come dietro a un apparente rapporto serva-padrone, si celi un profondo senso di appartenenza di due anime che hanno scelto la solitudine e che il destino ha unito.
Superba risulta Deanie Ip (vincitrice della prestigiosa Coppa Volpi come miglior interprete femminile alla 68esima Mostra del Cinema di Venezia), capace di dare al personaggio di Ah Tao una carica emotiva che non può non impressionare e coinvolgere lo spettatore in sala. Da non trascurare neanche l’intenso Andy Lau che con generosa compostezza, riesce a dare spessore a un personaggio che avrebbe potuto rischiare di passare in secondo piano rispetto a quello intimo e viscerale di Ah Tao. Anche la narrazione risulta piuttosto lineare, non ci sono colpi di scena improvvisi, tutto scorre con religiosa lentezza senza grossi eccessi. Ci sono inoltre diversi elementi che, seppur tratteggiati con la matita, impongono delle riflessioni profonde, come ad esempio la vecchiaia e il senso di solitudine che riescono a farsi largo tra i visi rugosi e gli sguardi persi nel vuoto degli ospiti che animano la casa per anziani dove Ah Tao ha deciso di trascorrere gli ultimi suoi giorni. “A Simple Life” è una pellicola sobria che nella sua pacatezza riesce a essere elogio di buoni sentimenti, di quei valori come la riconoscenza, il rispetto e la gentilezza che solo il cinema orientale riesce ancora oggi a mostrarci in tutta la sua essenza. Un bel film che tocca le corde del cuore e ti fa sperare che in giro per il mondo esistano altre Ah Tao, perché è importante almeno credere che sia così.