Tanti, non solo per una questione di "tempi" della giustizia. La verità su quel giorno in realtà era già stata perfettamente ricostruita e testimoniata fin dai giorni che seguirono l'eccidio. Peccato però che i fascicoli con la documentazione, subito dopo la guerra, vennero nascosti all'interno di quello che fu definito "armadio della vergogna", l'archivio segreto ritrovato a Roma nel 1994 contenente centinaia di documenti relativi a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista.
«La strage di Borgo Ticino è una delle più gravi di quel periodo ma anche una delle più documentate dal punto di vista storico - racconta Giovanna Gazzetta, nipote di una delle vittime dell'eccidio, Giovani Fanchini allora 26enne -. La verità era scritta in una decina di faldoni occultati dalla fine della seconda guerra mondiale. Per anni ho cercato di far luce su quella vicenda invano, finché mi è capitato tra le mani un libro che riguardava proprio l'apertura dell'armadio della vergogna. E tra gli episodi narrati si accennava anche a Borgo Ticino. Da lì è iniziato il nostro percorso».
«L'udienza di maggio ha un significato particolare - ha commentato il sindaco di Borgo Ticino, Francesco Gallo -. Non ci interessa la condanna in sé dell'unico superstite tra gli imputati ma la ricostruzione dei fatti. In quella giornata del 1944 furono messi al muro tredici civili, dodici dei quali persero la vita ed è a loro che dobbiamo la verità. Furono scelti a caso tra la popolazione dai soldati nazisti durante una rappresaglia dovuta al fatto che alcuni giorni prima del 13 agosto tre soldati nazisti rimasero feriti in uno scontro con i partigiani. Dodici persone furono sacrificate davanti agli occhi di amici e famigliari e decine di case furono incendiate e saccheggiate. Fu perfino raccolto e consegnato ai militari tedeschi un riscatto di 300mila lire, era una somma incredibile per quegli anni. Ma quel denaro non servì a nulla e non venne mai restituito». Il comune di Borgo Ticino, insieme ai famigliari delle vittime e all'Anpi nazionale si è costituito parte civile nel processo davanti al Tribunale militare di Verona. Inizialmente anche il comune di Sesto Calende (coinvolto perché una delle vittime, Cesare Tognoli appunto era sestese) intraprese il percorso legale al fianco delle famiglie coinvolte. Soltanto di recente, come racconta in suo un articolo il giornalista varesino Franco Giannantoni, a un passo dal processo tanto atteso la nuova amministrazione ha scelto di ritirarsi.
(Varesenews )