Un corso di cucina era proprio quello di cui avevo bisogno quest'anno, qualcosa che mi distraesse dal solo sapere, per fare qualcosa di creativo, che trovasse un qualche riscontro immediato e mi permettesse di migliorarmi in delle abilità precise. Trovo che una vita intellettuale non coronata dal fare sia in perdita.
La particolare attitudine a preparare ben si sposa con un temperamento come il mio, io che ho bisogno di sapere, organizzarmi, pianificare, prevedere, scoprire la mia stessa creazione e superarla. Non ho affatto buona manualità, non credo di poter realizzare chissà quali capolavori, ma c'è passione.
Ed è questo uno dei messaggi trasmessi con costanza da Francesco Pinello: ama ripetere che il primo ingrediente di una buona cucina è il buon umore: non mettetevi mai in cucina, se non lo siete, andate a mangiare fuori, semmai. Soprattutto se si tratta di una cucina della festa, di una cucina per gli altri.
Non nascondo che in un primo momento ero in dubbio sull'utilità del corso: ho ancora bisogno di acquisire tecniche fondamentali, elementi base che non padroneggio affatto. Ma sia l'affetto e la simpatia per lo chef, sia un'istintiva fiducia, più una mia naturale tenacia (per non dire ostinazione), mi hanno guidato fino in fondo al corso.
E ho avuto ragione: per esempio, credo di essere venuto fuori dalla mia cosiddetta sindrome della cenetta intima, cioè dalla mia attitudine a cucinare per pochissime - e, beninteso, amatissime - persone. Non che adesso ci si debba aspettare happening culinari o altro, ovvio, ma - dopo un gazpacho per un'ottantina di commensali - ora non ho paura dell'ospite in più.
La mia dimensione rimane comunque intima e amicale, ho bisogno della verità di persone a me care, ma questo è un altro discorso. L'amore per ciò che si fa e il rispetto di chi si nutre di ciò che hai preparato mi portano a fare del mio meglio perché il mio cibo sia buono, equilibrato, sensato.
C'è un altro aspetto che mi consola e mi spinge ad andare avanti su questa strada: la convinzione di Francesco Pinello, che capisco benissimo, per cui in cucina la fantasia non serve. Forse non condividiamo appieno il concetto di fantasia, ma è vero: in cucina, serve semmai un aggiornamento continuo e una buona attitudine a sperimentare nuove ricette e guardarsi intorno.
Per questo Pinello usa pochissimi aromi, non usa praticamente aglio (caratteristica comune a molti chef) e, insomma, fa ricorso al trattamento del cibo e alla sua cottura buona e corretta come elemento creativo. Io amo una cucina molto più "profumata", ma proprio per questo ho trovato interessante e utilissimo un corso più "basic", come lo chiama il nostro chef.
Naturalmente, c'è una buona dose di arbitrio nel concetto di equilibrio e di armonia di sapori, non ne dubito. Tuttavia esiste l'esperienza che guida verso una norma di massima, discutibile - e apprezzabile - finché si vuole, ma non per questo insensata. E bilanciare gusto, un gusto sempre più educato, e qualità è il principio di tutte le arti.
Perciò, a lavoro!