Dire che ho letto questo libro non è esatto.Io, questo libro, l'ho divorato. E l'ho fatto come mi capita con i libri di Stephen King e di Niccolò Ammaniti; con una foga e un'urgenza che mi era impossibile controllare e che mi impediva di andare a letto perché dovevo sapere assolutamente come andava a finire. Poi, esausto, mi rassegnavo - parliamo di 530 pagine - chiudevo il libro e spegnevo la luce. Il romanzo, sulla carta, non mi incuriosiva molto: l'idea di uno scrittore-poliziotto che racconta dalla trincea gli scontri tra ultras e celerini, mi eccitava quanto un porno trasmesso alla radio. E invece ci sono entrato eccome dentro quella trincea e ho ascoltato le voci dei tanti personaggi, ho assorbito le motivazioni più intime e profonde - spesso folli, estreme e autolesioniste - e mi sono trovato in mezzo alla guerriglia, alle botte, alle bandiere, ai sussurri e alle grida. Ma non c'è solo questo nel romanzo di Gazzaniga, ci sono anche le storie private, le svolte del destino, i dolori, le gioie, le delusioni di uomini e donne, di padri e madri, di figli e figlie. Si ascoltano le aspirazioni di chi spera di cambiare vita, le tribolazioni di chi deve gestire un amore spento, un figlio fragile, una prima volta, un senso di colpa ingombrante, un desiderio di dominio e distruzione, il sogno di un libro che parla esattamente di quelle cose che racconta il romanzo che stai leggendo. Gazzaniga è bravissimo nel tratteggio psicologico dei tanti personaggi che si muovono in uno scenario cittadino livido e spettrale, e non giudica mai le scelte, le azioni, le motivazioni dei suoi eroi senza gloria. Si limita a narrare le evoluzioni della tragedia con grande controllo stilistico. Memorabili le scene di massa che descrivono gli scontri. Gestire tanti personaggi, tanti fili narrativi non è un'impresa facile e l'autore ci riesce con mano felice. Io ho amato in modo particolare le parti dove si raccontano gli interni dei personaggi, interni fisici e psicologici , interni che colorano di solitudine, amarezza, rabbia, speranza e amore i gesti quotidiani di ultras e celerini. Un affresco lucido, tenero e spietato della società di oggi. Ci sono anche molti riferimenti alla cronaca recente. Si affronta il ricordo ingombrante del G8 di Genova e lo si fa con passo lieve e rispettoso.
Il romanzo arriva dal Premio Calvino. Ha vinto l'edizione del 2012 e merita di essere letto per capire riti, ruoli e meccanismi assolutamente oscuri per chi, come me, non è mai andato allo stadio per vedere una partita di calcio con una spranga sotto il giubbotto. Ci sono anche delle curiosità che mi hanno fatto sorridere: vedi un poliziotto sassarese che si chiama Gavino Tau e ha una parlata molto marcata. Quando l'ho incontrato nel romanzo ho pensato subito a quello che mi aveva rivelato l'autore durante una presentazione, ovvero, che era fidanzato con una ragazza di Sassari e conosceva bene la mia città e la cadenza inconfondibile dei suoi abitanti. Mica capita tutti i giorni di trovare un personaggio sassarese in un romanzo così importante!Un altra cosa che mi ha colpito è l'uso continuo dell'esortazione "dài" da parte di tutti i personaggi. In una pagina ne ho contato ben quattro. Qui ci sono alcuni esempi che ho estrapolato a caso da una decina di pagine:"Dài, vai all'accettazione, " disse il funzionario."Dài, Nico, calma. Vedrai che ti risponderà.""Dài, resisti, dài!""Dài, andiamo! Entriamo!""Dài, porcoddio! Carichiamoli!"
Ora mi viene un dubbio: forse a Genova si usa moltissimo e quindi non è strano spalmarlo nella parlata di tanti personaggi o, forse, è un vezzo puro dell'autore che l'editor non ha pensato di correggere o limitare.
Detto questo, e tralasciando la mia caccia personale ai tantissimi "dài" - a volte non si sa proprio come passare il tempo quando non si gioca a Candy Crush Saga - il romanzo è una delle cose più interessanti e avvincenti che ho letto nel 2013.
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