A volte bastano ventiquattrore e cambia tutto

Da Chiagia

Mi sono accorto che era settembre già dal suono della sveglia, che era decisamente un suono da sveglia di settembre.
E quando ho schiacciato lo snooze, o come diavolo si chiama, la sveglia ha detto che col cazzo che lei avrebbe risuonato dopo nove minuti.
Che era settembre anche per lei, e già tanto se si era svegliata apposta per suonare per me una volta e mi alzassi senza farla troppo lunga.
(Questa cosa della sveglia che si mette una sveglia la riprendiamo poi, che non è il tema di oggi.)
La doccia era una doccia da settembre, leggermente più tiepida di quella di agosto anche se fuori faceva lo stesso caldo. Sono segnali che non vanno sottovalutati anche se non li capisci.
Il caffè faceva schifo, fa sempre schifo a settembre, sarà l’umidità diversa o il fatto che l’ho preso al discount, e ci ho dovuto mettere un cucchiaino di zucchero in più. Che poi ingrasso, ma tanto è settembre e non vado più al mare.
Quando ho visto il colore dei vestiti della gente in metro mi sono ricordato – se ce ne fosse stato bisogno – che era settembre. E mi sono accorto che anch’io, inconsapevolmente, mi ero vestito da settembre, ripromettendomi di mettere qualcosa di più allegro l’indomani.
In ufficio il clima era settembrino, il capo aveva il muso, c’erano pratiche arretrate e anche nella pausa caffè i discorsi erano quelli tipici di settembre. Uno che voleva mostrare le foto delle vacanze è stato rimbrottato e ci ha chiesto scusa.
Alle cinque ripartiva il corso in palestra, ma mi sembrava davvero troppo da settembre come cosa e ho rimandato a chissà quando ne avrò voglia, che questo settembre è partito male.
Alla fine per fortuna è venuta la sera.
Ho messo una coperta sulle gambe, anche se faceva lo stesso caldo di ieri, e ho acceso la tivù.
Ma mi sono addormentato subito, che io a settembre dormo prima.



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