Nel pieno della crisi che ancora attanagalia l’economia mondiale, mentre in Europa si cercano piani di salvataggio, in Italia si è assistito stamane ad una sorta di seduta spiritica della politica italiana. Il redivivo Berlusconi, scomparso a tutti gli effetti dalla vita politica negli ultimi mesi, ha fatto la sua apparizione davanti alla crema della stampa italiana, schierata al gran completo. A dargli manforte c’era Alfano, ultimo regnante di una dinastia ormai in rovina. L’uomo che per quasi vent’anni ha avuto in mano le sorti del Paese, costretto a dimettersi quando gli effetti della crisi, da lui negata fino allo stremo, rischiavano di precipitare l’Italia in un baratro tanto profondo quanto inatteso, non voleva tuttavia comunicare il suo punto di vista sulla situazione internazionale. Nessun discorso su quale delle soluzioni proposte fosse a suo parere la migliore, nessuna preferenza accordata al “metodo Merkel” o al “metodo Hollande”.
A mio parere è evidente come, con questo atto pubblico che qualcuno ha già definito un’altra scesa in campo, l’ex presidente del Consiglio abbia inteso mandare almeno due messaggi all’establishment italiano. In primo luogo, egli ha indirettamente messo in risalto la costante perdita di consenso del governo Monti, verso il quale parecchi cittadini hanno già avuto modo di mostrare una forte disaffezione. Con la proposta forzata di mettere una questione così importante sul tavolo del governo, infatti, egli rivendica la paternità originale di questa legislatura, che funge in fin dei conti come un depotenziamento operato nei confronti di chi ha avuto l’ardire di sedersi al suo posto. In secondo luogo, il suo fiuto politico gli ha permesso di fare un’osservazione tutto sommato corretta rispetto all’attuale situazione politica: dal basso, sta arrivando la richiesta di un uomo forte. Nella sua megalomania, è arrivato a proporre di sovvertire l’ordinamento politico pur di presentarsi come possibile candidato: propsettiva più che fantasiosa. Tuttavia, è vero che la disaffezione ai partiti sta spostando una larga parte dell’elettorato verso formazioni, come il Movimento a 5 Stelle, che hanno la presunzione di introdurre un nuovo modo di fare politica, senza peraltro specificare quale sia il programma attraverso il quale questo cambiamento dovrebbe funzionare. Queste asserzioni, che vengono spesso accompagnate con affermazioni ed intenti populistici, assomigliano sinistramente a quelle di chi, nel secolo scorso, ha voluto spazzare via il vecchio mondo politico con un atto di forza, dando vita al totalitarismo. La storia procede sempre in un senso, quindi fare parallelismi in questo senso sarebbe fuorviante e inefficace.
Tuttavia, permane il timore che questa disaffezione nei confronti del vecchio modo di fare politica, criticabile quanto si vuole ma in fin dei conti democratico, si possa trasformare in una violenta richiesta di cambiamento dello scenario politico e sociale. Occorre sempre fare attenzione quando si grida “Tutti a casa!”, perchè bisogna dimostrare di essere meglio di chi se ne va.
Riccardo Motti