Il 2013 volge al termine, e un modo facile facile per tirare le somme è quello di stilare delle opinabili, parzialissime classifiche di fine anno. È un esercizio che va sempre di gran moda, e pur consapevole della sua fondamentale inutilità, vi propongo le migliori 20 serie televisive andate in onda nel corso dell’anno solare. Tuttavia, benché trovi l’intrattenimento televisivo seriale la forma narrativa che al momento mi garantisce le maggiori soddisfazioni (o forse ho semplicemente scoperto che la soglia della mia attenzione non supera i 50 minuti), e benché l’abbondanza di contenuti di qualità mi abbia costretto a scelte dolorose per evitare che questa Top 20 si trasformasse in una Top 50, nella ricerca spasmodica della next big thing televisiva mi capita di imbattermi in prodotti insopportabili anche per un tv junkie come il sottoscritto. Di seguito, quindi, vi propogno sia le venti serie televisive che, se ancora non le avete viste, dovete assolutamente vedere, sia le dieci che, se ancora non le avete viste, potrete rimuovere senza remore dalle vostre watching list per dedicarvi a qualcosa di meglio (tipo un bel disco).
Precisazione scontata ma doverosa: sono le migliori (e peggiori) serie SECONDO ME. Qualora qualcuno avesse voglia di dissentire, argomentare, e magari contrapporre le proprie preferenze (o le proprie idiosincrasie), ben venga. Anzi, siete tutti calorosamente invitati a farlo, tramite i commenti a fondo pagina e sulla pagina Facebook di AtlantideZine.
Altra precisazione: seguono spoiler come se piovesse. Ergo, procedete con cautela.
Il 2013, in sintesi
L’anno della Carneficina. Riposino in pace: mezza casata Stark (Robb Stark, la neo-mogliettina Talisa e il futuro erede che si portava in grembo, mamma Catelyn e persino il direwolf) , la povera Ros, bersaglio umano di un ragazzino psicopatico, e il vecchio “Lord Crow” Jeor Mormont; Walter “Heisenberg” White e Hank Schrader, più un sacco di cattivoni (Todd, Lydia, lo zio Jack e la sua gang di nazisti) e un paio di incolpevoli vittime collaterali (Andrea, Gomez); Otto Delaney (o quel poco che ne restava), Eli Roosewelt, Filthy Phil, Clay Morrow e soprattutto Tara Knowles; il Sergente Nicholas Brody; Tricia; Merle Dixon, Milton, Andrea, The Guv’nor e il saggio Hershel; Arlo Givens; Albert “Big Chief” Lambreaux, stoico fino alla fine; un paio di cloni di Sarah Manning, di cui non ricordo il nome né tantomeno la nazionalità; mamma Campbell; Dunn Purnsley, l’agente Tolliver/Knox, il fido Eddie Kessler e il vendicatore semi-mascherato Richard Harrow; Sean McGinnes; l’agente FBI Amador e, per ripicca, un agente KGB che passava di lì per caso, sedotto con un hamburger; il giovane Jamie, in una scena mozzafiato; David Tate, il povero Gus e tanti, troppi, sfortunati migranti messicani; il nazista Dr. Arden, la posseduta Sister Mary Eunice, Bloody Face e pure Sister Jude; Bullet, testarda, Ray Seward, innocente, e James Skinner, assai colpevole; Peter Russo, debole e ingenuo; Spartacus e molti di coloro che l’hanno seguito nella sua rivolta; il faccino pulito del DS Justin Ripley; Earl Haraldson; Brian Griffin (quasi); Steve AKA Jimmy, a bagno permanente nel lago Michigan (speriamo); varie streghe di New Orleans (oppure no, visto che vengono sistematicamente riportate in vita?). Stando a quanto ho letto in giro, una manciata di personaggi di spicco di Dexter, Downton Abbey e True Blood hanno subito la stessa infelice sorte. Insomma, un’ecatombe. Al di qua dello schermo, invece, il tributo (reale) è per James Gandolfini, scomparso lo scorso giugno, e Marcia Wallace, voce di Edna Krabapell in The Simpsons.
L’anno dei Debuttanti. Per ogni Netflix (House Of Cards, Arrested Development, Hemlock Grove, Orange Is The New Black) che arriva sul mercato con il piglio del rottamatore, dando del vecchio decrepito a tutti gli altri attori sulla piazza e urlando ai quattro venti che il futuro è nella rete, c’è un Sundance Channel (Rectify, Top Of The Lake, The Returned) che nasce vecchio nell’animo e sfoggia la propria attitudine old-school con orgoglio, regalandoci alcune tra le più belle ore di tv viste durante tutto l’anno. Alla fiera dei nuovi produttori di serie originali hanno partecipato anche History (Vikings, The Bible), Amazon (Alpha House), DirectTV (Full Circle, Rogue) e qualcun altro che al momento mi sfugge.
L’anno delle Serie al Femminile. Donne protagoniste (Elisabeth Moss, Claire Danes, Tatiana Maslany, Julia Louis-Dreyfus, Mireille Enos, il ritorno di Gillan Anderson, le ragazze con problemi da primo mondo di Girls, il cast tutto al femminile di American Horror Story: Coven, l’esercito di donne di svariate appartenenze etniche e ancora più svariati orientamenti sessuali visto in Orange Is The New Black), donne co-protagoniste (tra le tante, ancora Elisabeth Moss, Keri Russell, Diane Kruger, Robin Wright, Anna Gunn, Lizzy Caplan, Emmy Rossum, Holly Hunter, Abigail Spencer, Jessica Lange e le tante guest start di AHS: Coven, e, tra le giovanisime, la piacevole sorpresa Bex Taylor-Klaus), donne dietro la macchina da presa (Lena Dunham, ma soprattutto Jane Campion) e nel ruolo di showrunner (Veena Sud, Meredith Stiehm, Michelle Ashford, Jenji Kohan, la stessa Dunham) e — finalmente, aggiungerei — un buon numero di storie in cui si fa a meno degli stantii maschi-alfa e predomina invece la prospettiva femminile (Girls, Orphan Black, Enlightened, Masters Of Sex, Orange Is The New Black, Top Of The Lake, American Horror Story).
L’anno della Grande Abbondanza e della conseguente Grande Abbuffata. È stata un’annata in cui, tra nuovi canali all’esordio nella diffusione di contenuti seriali originali e vecchi protagonisti del mercato stimolati dalla concorrenza, ci sono state così tante nuove produzioni di ottimo livello che una buona metà della mia Top 20 è costituita da freshman. Ma le nuove proposte non finiscono certo qui: un paio le ho dovute lasciar fuori davvero a malincuore (In The Flesh, BBC Three, Spring ’13; The Wrong Mans, BBC Two, Fall ’13), e un altro paio non rientrano tra le prime venti ma non vanno oltre le ipotetiche prime 25 (The Fall, BBC Two, Spring ’13; Banshee, Cinemax, Winter ‘13). Certo, ci sono anche mezze delusioni, ovvero serie che hanno sviluppato bene alcuni aspetti ma che globalmente si collocano più sul versante “MEH” che sul versante “OMFG I WANT MORE!” (Peaky Blinders, BBC Two, Fall ’13; The Tunnel, Sky Atlantic, Fall ’13), e non mancano i fallimenti, totali o parziali (i primi, quelli più eclatanti si trovano nella classifica delle cose peggiori viste durante l’anno, mentre i secondi hanno scampato la gogna della Top 10 dell’infamia solo perché c’è chi ha fatto peggio).
A questa profondissima classe di rookies si sommano i veterani, e anche per quanto riguarda le “returning series” una straordinaria sovrabbondanza di qualità mi ha costretto a lasciar fuori dalla mia personale classifica pezzi da novanta (Game Of Thrones, S03, HBO, Spring ‘13; la conclusione di American Horror Story: Asylum, S02, FX, Winter ’13 e la prima parte di American Horror Story: Coven, S03, FX, Fall ’13), piccole gemme (Girls, S02, HBO, Winter ‘13, Enlightened, S02, HBO, Winter ‘13) e prodotti magari non memorabili ma comunque sufficientemente interessanti da garantire una serata dignitosa sul divano di casa (Hell On Wheels, S03, AMC, Summer ’13; Magic City, S02, Starz, Summer ’13; Luther, S03, BBC One, Summer ’13). Per tacere di tutto ciò che non ho visto: chissà quante cose mi sono perso! (Prime avvisaglie della sindrome FOMO).
Ma bando alle ciance, e via con
Le 20 Migliori Serie TV del 2013
#20 Sleepy Hollow, S01 (FOX, Fall ‘13)
Cosa succede se si combinano le premesse di un famoso racconto gotico con le profezie dell’Apocalisse di Giovanni e con la mitologia della Rivoluzione Americana, insaporendo il tutto con una spruzzata di cospirazionis-occultismo e di blandissimo horror-fantasy? Succede che, per quanto assurdo possa sembrare, ci si potrebbe anche divertire. Show leggero leggero, nonostante la presenza di un minaccioso Cavaliere Senza Testa armato di fucili d’assalto, di demoni e di varie creature poco amichevoli, costruito essenzialmente sull’eccellente chimica tra il viaggiatore nel tempo Ichabod Crane e la poliziotta Abbie Mills. Menzione speciale: tutto funziona meglio grazie al delizioso accento british e all’ironia di Tom Mison.
#19 Shameless, S03 (Showtime, Winter ‘13)
Continua, più tragica che comica, la travagliata epopea dei Gallagher, primatisti mondiali nell’arte di arrangiarsi e dediti senza vergogna a piccole truffe e furtarelli per sopravvivere nei misero South Side di Chicago. Il cast è perfetto: William H. Macy ha fatto di Frank, working class (anti)hero, un’odiosa e amabile canaglia, Emmy Rossum regala a Fiona una luminosità e un’energia infinita, e tutti gli altri (tanti, spesso giovanissimi) non sono da meno. La serie è un continuo alternarsi di atmosfere sentimentali e adrenaliniche, e talvolta, tra subplot dimenticabili (Sheila & Co.), la confusione prende il sopravvento, ma paradossalmente questo è anche uno dei pregi. Menzione speciale: Shanola Hampton, Steve Howey e i loro siparietti comico-erotici (specie quelli in costume).
#18 Sons of Anarchy, S06 (FX, Fall ‘13)
Nell’universo di Kurt Sutter tutto quello che può andare storto lo farà. E lo farà in modo cruento: stagione sanguinosissima, culminata con i tragici omicidi di due personaggi fondamentali (vedi sopra). Jax ha provato in tutti i modi a sottrarsi alla spirale di violenza, svincolando il club dalla nefasta partnership con l’IRA e cercando di metterlo sulla retta via, ma, come dice Nero, “Karma’s a bitch”, e tutti i nodi, alla fine, sono venuti al pettine (o meglio, al forchettone). All’orizzonte si profila lo scontro edipico con il vero cattivissimo dello show: la madre di Jax, la vedova nera Gemma Teller Morrow. Menzione speciale: CCH Pounder nel ruolo della DA Patterson ha dato vita al miglior antagonista che SAMCRO abbia mai incontrato.
#17 Veep, S02 (HBO, Spring ‘13)
I politici di Washington (e tutto il carrozzone di burocrati e funzionari che necessariamente ronza attorno ai luoghi del potere) sono rappresentati da una galleria di personaggi che, dalla VP Selina Meyer in giù, sono inevitabilmente goffi, cinici, sboccati ipocriti, meschini e arrivisti, intenti a coprire nei modi più astrusi i disastri causati dalla propria incompetenza e sempre ossessionati dalla propria immagine. Armando Iannucci & soci infarciscono i dialoghi di giochi di parole e oscenità varie (spesso sommando i due aspetti), imponendo un ritmo vertiginoso a questa satira sul potere. Menzione speciale: Julia Louis-Dreyfus da sola rende Veep la miglior commedia in casa HBO, ma è stato bello rivedere Isiah Whitlock, Jr in un breve cameo.
#16 House of Cards, S01 (Netflix, Winter ’13)
Ancora politica americana, ma radicale cambio di tono: il lato oscuro di Washington è rappresentato dall’ossessivo desiderio di vendetta del deputato democratico Frank Underwood, inviperito per non essere stato nominato Segretario di Stato e deciso a punire, manipolando tutto e tutti, chi ne ha intralciato l’ascesa. Un thriller politico costruito come una tragedia shakespeariana (con tanto di frequenti rotture della quarta parete da parte di un ispirato Kevin Spacey), condito da una regia impeccabile e da soluzioni visive ricercate e non convenzionali. Menzione speciale: non per Kevin Spacey e il suo (discutibile) accento del Tennessee, ma bensì per Robin Wright, sensuale e spietata complice nei giochi di potere orchestrati dall’implacabile marito.
#15 Masters Of Sex, S01 (Showtime, Spring ‘13)
Il sesso c’è, abbondante, non esposto nel trionfo di nudità gratuite che mi attendevo ma bensì sapientemente rivestito di un patina in grado di neutralizzare qualsiasi voyeurismo. Ne è venuto fuori un biopic (quanto accurato, non importa) peculiare e stranamente appassionante, capace di alternare lo sguardo tra evoluzione dei costumi sessuali e sviluppi sentimentali più soap-operistici. La chiave è il contrasto di toni tra l’algido Michael Sheen, rigidissimo nella parte del problematico Bill Masters, luminare della ginecologia, e la passionale Lizzy Caplan nelle vesti (ma anche senza le vesti) della brillante e progressista segretaria-collaboratrice Virginia Johnson. Menzione speciale: Beau Bridges, ottima guest star, e Ulysses, ottimo oggetto di scena.
#14 Broadchurch, S01 (ITV, Spring ’13)
Le premesse sono sempre quelle dell’immortale Twin Peaks (al netto delle divagazioni onirico-fantastiche), lo sviluppo quello di un canonico poliziesco. Niente di originale, si direbbe, ma usare i cliché con sagacia non è facile. Qui c’è tutto: crimine orrendo, paesaggi minacciosi nelle vicinanze di uno specchio d’acqua, piccola comunità con troppi segreti, detective problematici (David Tennant/DI Hardy segnato da un caso del passato, Olivia Colman/DS Miller timorosa di rovinare le buone relazioni con i compaesani), ma il vero pregio è l’opprimente atmosfera di disperazione e di inconsolabile lutto che pervade la cittadina. Il numero limitato di episodi è d’aiuto nel mantenere concisa la narrazione. Menzione speciale: David Bradley/Jack, il mostro sbattuto in prima pagina.
13 Orphan Black, S01 (BBC America, Spring ’13)
Dal momento in cui Sarah Manning (Tatiana Maslany) assiste al suicidio della propria dopplegänger, Orphan Black ti intrappola in una narrazione tutta di corsa, alla scoperta dell’identità della protagonista (e delle mille “consorelle”) e dei piani della solita misteriosa organizzazione (qui promotrice della fantomatica “Neolution” — sorta di biohacking genetico per percorsi evolutivi personalizzati — e dell’esperimento di cui Sarah è parte inconsapevole). Due topoi classici della sci-fi, cospirazione e clonazione, esplorati in una serie frenetica, disimpegnata ma coinvolgente. Menzione speciale: clone dopo clone (e sono tanti!), si scopre il camaleontico talento di Tatiana Maslany, interprete del 90% dei personaggi sulla scena. Impossibile fare altri nomi.
#12 Vikings, S01 (History, Spring ’13)
Storia lineare, personaggi secondari monodimensionali, eppure ad un passo dalla Top 10. Controsenso? Non proprio: a compensare una scrittura poco raffinata ci pensa una fotografia clamorosa, il corredo di effetti visivi di prim’ordine, un altissimo tasso di epicità e un bilanciamento di azione e approfondimento “culturale” sulla civiltà e sulla mitologia norrena quasi impeccabile. Niente più di una divulgazione televisiva, certo, ma di grande fascino. La figura eroica di Ragnar, impavido guerriero ed esploratore, evolve dagli stereotipi d’inizio stagione, prende corpo e diventa il cardine di una riflessione sulle dinamiche del potere. Menzione speciale: il sorriso strafottente di Travis Fimmel. È l’unica espressione che ha, ma gli viene alla grande.
#11 Black Mirror, S02 (Channel 4, Winter ’13)
Una seconda stagione di impatto leggermente inferiore rispetto alla prima, ma i distopici tecno-incubi del genio disturbato Charlie Brooker pongono ancora una volta allarmanti interrogativi sulle possibili conseguenze della degenerazione tecnologica (l’illusiva umanità dei social media, la brutalità della giustizia mediatica, la pervasività della comunicazione populista). La formula antologica (tre episodi legati solo dal tema di fondo) resta invariata, così come la cifra stilistica. Menzione speciale: Waldo, perché l’ultimo episodio sarà anche il più banale e il più moraleggiante, ma a chiunque viva in Italia e abbia assistito alle elezioni del febbraio 2013 non può non aver fatto pensare che il futuro, con tutte le sue storture, sia già arrivato.
#10 Orange Is The New Black, S01 (Netflix, Summer ’13)
Inizialmente OITNB non aveva solleticato in me particolari curiosità, ma mi sbagliavo di grosso. La storia di Piper Chapman (Taylor Schilling), pesce fuor d’acqua come può esserlo una bionda wasp newyorkese in un carcere federale, e la sua scoperta di sé in un ambiente ostile diventano rapidamente il pretesto per allargare l’inquadratura e raccontare le mille sfumature dell’universo femminile, esplorando la vita in carcere di una moltitudine di donne diverse in ogni possibile aspetto, dal background socioeconmico all’appartenenza etnica, dall’età al credo religioso all’orientamento sessuale. Ne viene fuori una narrazione corale in cui comicità e tragedia si intrecciano alla perfezione. Menzione speciale: le vette (tragi)comiche sono appannaggio di Danielle Brooks/Taystee.
#9 The Americans, S01 (FX, Winter ’13)
Un dramma familiare sullo sfondo della guerra fredda, o, viceversa, un’avvincente spy-story Anni ’80 sullo sfondo dei problemi di casa Jennings. La fedeltà (sia coniugale che nei confronti della Madrepatria) vacilla, e le difficoltà tra Philip (Matthew Rhys) ed Elizabeth (Keri Russell), spietate spie sovietiche mimetizzate da famigliola piccolo borghese, si intrecciano con la ferocia delle vendette e delle ritorsioni tra i due blocchi. Poche sbavature, colpi di scena uno dopo l’altro, procedure e gadget low-tech, mille parrucche e un finale palpitante, ma quello che più mi piace è che sembra che la guerra fredda si sia combattuta a colpi di manipolazioni sentimentali. Menzione speciale: Keri Russell domina la scena, donando al suo personaggio una durezza agghiacciante.
#8 Utopia, S01 (Channel 4, Winter ’13)
Alcuni giovani entrano in possesso del secondo inedito volume di un fumetto di culto, nel quale il visionario autore ha cifrato i segreti di una cospirazione internazionale. La canonica organizzazione di tecnocrati (denominata “The Network”) dà loro una caccia spietata per recuperare il prezioso manoscritto. Tradimenti continui, doppi giochi, episodi di violenza inaudita (con alcuni ragazzini protagonisti), un ossessivo ritornello (“Where is Jessica Hyde?”) e tanto, tantissimo, luminoso, accecante… giallo. Una fotografia dai colori lisergici e una trascinante colonna sonora avvolgono di tinte pop questo strano thriller venato di sci-fi. Menzione speciale: Neil Meskell presta all’efficientissimo e implacabile killer Arby/R.B. una faccia allucinata.
#7 Mad Men, S06 (AMC, Spring ’13)
Avvio letargico, con la ripetizione di schemi narrativi consolidati, fino all’improvviso concretizzarsi della catastrofe preannunciata dai piccoli indizi sparsi qui e là: la maschera di Don Draper, indossata per anni con feroce determinazione, è caduta, e Dick Whitman è nudo. Il gioiello di Matt Weiner sfoggia le solite ottime regie, le solite citazioni di gran classe (anche se il fantasma di Sharon Tate, da tutti preconizzato, non si è materializzato), la solita maniacale cura dei dettagli attraverso cui cogliere appieno lo zeitgeist del tempo, e tanti siparietti tra l’assurdo, il comico, il farsesco e lo slapstick, roba che solo Mad Men può permettersi. Menzione speciale: Vincent Karthesier, chirurgico nel ridicolizzare i tic da borghese piccolo piccolo di Pete Campbell.
#6 Top Of The Lake, miniserie (Sundance Channel / BBC Two / UKTV, Spring ’13)
Echi Twin Peaks-iani (paesino sperduto tra i paesaggi da sogno delle aspre montagne neozelandesi, un immancabile lago, e la scomparsa di una dodicenne) per un crime drama dalle sensibilità spiccatamente femministe. Elisabeth Moss interpreta la detective Robin Griffin, personalità forte e al contempo segnata da vecchie ferite mai sanate, causa prima della fuga dalla cittadina natale. La regia di Jane Campion conferisce un ritmo lento e cadenzato al racconto, prendendosi tutto il tempo che occorre per sviscerare le emozioni più recondite e l’opprimente clima di violenza che avvelena la comunità. Menzione speciale: Peter Mullan (il boss/capofamiglia Matt Mitcham, puro white trash) e Holly Hunter (la serafica guru GJ) talvolta rubano la scena persino alla fenomenale Moss.
#5 Boardwalk Empire, S04 (HBO, Fall ’13)
La creatura di Terence Winter si è finalmente scossa dal torpore, riuscendo ad esprimere al meglio tutto il proprio enorme potenziale. L’intricato plot e la lussuosa confezione di Boardwalk Empire sono rimasti inalterati, ma Steve Buscemi/Nucky Thompson ha fatto un passo indietro (beh, forse di lato) e ha dato modo ai tanti personaggi secondari di emergere e sviluppare le tante trame parallele. Con il protagonista in posizione defilata, Michael K. Williams è salito finalmente sugli scudi: Chalky White è diventato il focus del racconto, protagonista dell’epico scontro con il mellifluo e ipocrita Dr. Narcisse. Menzione speciale: la presenza di Jeffrey Wright, capace di dotare il malefico Narcisse di uno charme irresistibile, è stata decisiva per il salto di qualità.
#4 Justified, S04 (FX, Winter ’13)
Purtroppo Elmore Leonard, ispiratore di Justified, è scomparso, ma fortunatamente ha fatto in tempo ad assistere alla migliore stagione della serie. Raylan Givens (Timothy Olyphant) è stato impegnato a risolvere un intricato mistero (“dov’è nascosto Drew Thompson?”), senza doversi occupare del solito bad guy. Le strade di Raylan e Boyd (Walton Goggins), sua nemesi storica, si sono incrociate solo sul finire della stagione, limitando il numero delle deliziose schermaglie tra i due ma lasciando spazio a tanti personaggi secondari (Tim!). Per il resto, epiche scene da western contemporaneo e i soliti infiniti discorsi di logorroici bifolchi con il loro meraviglioso accento del sud. Menzione speciale: indeciso tra Jim Beaver e Patton Oswalt, caratteristi fantastici.
#3 Treme, S04 (HBO, Fall ’13)
Treme non ha mai seguito una vera e propria trama, concentrandosi piuttosto sulle piccole grandi sfide che un gruppo di personaggi rappresentativi della vibrante cultura di NOLA deve quotidianamente affrontare in una città disfunzionale. Le ultime puntate sono il saluto finale a questi personaggi, un ultimo chiedergli “Hey, come va?”, poiché tale è stata l’intimità che Simon & Overmyer sono stati capaci di creare. La storia, la musica, i costumi degli Indians, il cibo, le mille comunità, questa apoteosi del creolo, questa testardaggine nel voler resistere ai continui assalti alla propria identità meticcia, questa eterna sfida tra innovazione e tradizione… la familiarità con tutto questo è tale che mi sembra di conoscerla, “N’awlins”. E dirle addio non è facile. Menzione speciale: Clarke Peters, monumentale Grande Capo.
#2 Breaking Bad, S05.2 (AMC, Summer ’13)
L’epilogo dell’irresistibile parabola di Walter White “da Mr. Chibs a Scarface” era la serie più attesa di tutto il 2013. Vince Gilligan è riuscito nell’impresa impossibile di tener testa alle smisurate aspettative e consegnare alla storia uno dei series finale più emozionanti di sempre. Otto puntate vissute sul bordo della sedia, in un inarrestabile crescendo di tensione culminato in uno scontro finale da antologia, conclusosi con Walter White e tanti altri personaggi in vacanza permanente in Belize. Ad ulteriore conferma dell’inadeguatezza del bipolarismo, l’annosa questione che divide i teledipendenti (“Meglio The Sopranos o The Wire?”) deve ora necessariamente includere un terzo contendente al titolo di “serie televisiva più bella di sempre”. Menzione speciale: tutti odiano Skyler, ma la prestazione di Anna Gunn è clamorosa.
#1 Rectify, S01 (Sundance Channel, Spring ’13)
In soli sei episodi Rectify ha messo in scena una profondissima indagine sulle conseguenze che i cambiamenti traumatici hanno sulla vita delle persone, e su come esse cerchino di reagire a questi traumi per ristabilizzare le proprie esistenze. Affrontando temi enormi come la ricerca di sé, le incertezze del sentimento religioso, le dinamiche che regolano le risposte empatiche (o l’assenza di esse) tra gli esseri umani, Rectify ha imbastito una narrazione complessa, introspettiva, riflessiva, ricca di simbolismi più o meno oscuri (biblici, per la maggior parte) e rimandi più o meno espliciti (da Flannery O’Connor al mito della caverna di Platone), caratterizzata da una minuziosa analisi delle emozioni e della psicologia dei personaggi piuttosto che dallo svolgimento di una tradizionale trama. Sei episodi in cui lo spettatore è stato costantemente sfidato a prendere posizione in una vicenda la cui ambiguità morale è rimasta irrisolta, venendo allo stesso tempo ipnotizzato dalla figura catatonica dell’ex-condannato Daniel Holden e dal suo tormentato ritorno alla vita dopo 19 anni passati nel braccio della morte, quasi un viaggiatore nel tempo catapultato in un mondo (ostile) in cui non immaginava di fare ritorno. Roy McKinnon ha creato una serie contraddistinta da una cinematografia pregevole, da un’ottima sceneggiatura, e si è avvalso di un cast straordinario. Di Rectify avevo già intessuto le mie entusiastiche lodi in modo più articolato al termine della stagione, e se vi va potete andare a rileggervi il tutto qui. Menzione speciale: non so davvero scegliere tra Aden Young, interprete dell’enigmatico protagonista, e Abigail Spencer, la passionale ed iperprotettiva sorella di Daniel, entrambi capaci di due interpretazioni di rarissima intensità. Standing ovation.
Fuori classifica, per vari motivi
The Returned, S01 (Sundance Channel, Fall ’13)
The Returned completa l’hat-trick messo a segno da Sundance Channel nel 2013, ma non si tratta di una serie originale, bensì di un import (francese: la serie è andata in onda nell’autunno 2012 su Canal+). Le premesse (bambini e adulti morti anni prima cominciano, senza nessuna apparente ragione e ignari del tempo trascorso dalla loro dipartita, a fare ritorno alle proprie case in un piccolo paesino alpino collocato nei pressi di una diga) e il setting (paradisiaco e lugubre allo stesso tempo, con immancabile bacino d’acqua) sono quelli canonici dei fantasy drama televisivi, ma qui il classico zombie-lore lascia il posto ad uno storytelling raffinato. Non ci sono voraci mangiacervelli, ma piuttosto individui turbati dalla loro condizione di “risorti”, il cui ritorno non può che alterare i fragili equilibri familiari faticosamente ricostruiti dopo il lutto. Sull’isolato paesino aleggia, inoltre, un’atmosfera misteriosa e “sospesa”, e alcuni preoccupanti fenomeni (il livello idrostatico in calo costante, i frequenti blackout) conferiscono al tutto inquietanti tinte soprannaturali. La gelida fotografia e il contributo della bella colonna sonora di Mogwai, sognante e angosciante allo stesso tempo, fanno il resto.
A Young Doctor’s Notebook, S01 / A Young Doctor’s Notebook & Other Stories, S02 (Ovation / Sky Arts, Fall ’13)
Più che un prodotto televisivo, le due miniserie ispirate ai racconti brevi e (semi)autobiografici di Bulgakov sono sembrate, per tempi della recitazione e modalità della narrazione, un divertissement teatrale: quattro puntate per stagione (la prima l’ho scoperta questo autunno grazie alla riproposizione americana, ma risale in realtà al 2012), otto episodi in totale, ciascuno della durata di poco superiore ai venti minuti, con abbondanza di gag talvolta spassose, talvolta sature di humor nero, talvolta amarissime, specie quando hanno a che fare con la dipendenza dalla morfina del protagonista e con la morte di Anna. Il passato e il presente del dottore russo Vladimir Borngard, impersonati da due stelle del calibro di Jon Hamm e Daniel Radcliffe, si intrecciano in siparietti di volta in volta buffi e tragici, tra la commedia slapstick e toni decisamente drammatici. I due attori principali hanno ovviamente il monopolio assoluto della scena, ma il risicatissimo cast di supporto — in cui spicca Adam Godley nel ruolo del grottesco (ma ilare) “Feldsher” — contribuisce in maniera preziosa.
Miglior Episodio
Ex-aequo: Game Of Thrones, S03 Ep.09 “The Rains Of Castamere” (HBO, Spring ’13) e Breaking Bad, S05.2 Ep.07 “Ozymandias” (AMC, Summer ’13)
I primi otto episodi della terza stagione sono stati sufficientemente noiosi da far correre un serio rischio al blockbuster di casa HBO di finire nella parte sbagliata della classifica, ovvero in quella delle peggiori serie viste quest’anno. La consueta maestosità delle ambientazioni, gli intrighi politici di Westeros, il percorso che ha portato Jamie e Brianne da cordiali avversari a BFFs, e la crociata anti-schiavitù di Dany sono materiale narrativo di prim’ordine, ma il criminale spreco di screentime dedicato al supplizio di Theon Greyjoy (torture porn all’ennesima potenza, con infelici battutacce pseudo-comiche annesse) e la stucchevole love story da romanzetto rosa tra Hygritte e Jon “You know nothing” Snow (culminata con la visione di un tramonto da cartolina dopo aver scalato il colossale Muro) ha vanificato (quasi) tutto. Poi è arrivato il tanto temuto/atteso episodio 9, e allora lì ci si è divertiti per davvero. L’avrete visto e rivisto, ma non c’è miglior commento al famigerato “Red Wedding” del video delle reazioni degli spettatori al massacro compiuto da quell’infame di Walder Frey e dai suoi accoliti. “The Lannisters send their regards”, ‘sti bastardi…
Diverso il caso di Breaking Bad. L’intera stagione è stata costruita in modo così magistrale da rendere difficile il tentativo di isolarne un momento specifico. Ci provo, e dico “Ozymandias”, penultimo capitolo della serie e momento in cui il personaggio di Walt raggiunge il suo climax, o forse, più appropriatamente, il fondo dell’abisso. L’impero di Walter White collassa definitivamente con la morte di Hank, e Walt appare in tutta la sua mostruosità di fronte a quella famiglia che è sempre stata la sua scusa prediletta per giustificare gli abomini compiuti durante la sua avventura nel mondo delle metanfetamine. Una telefonata tra Walt e Skyler racchiude l’essenza del personaggio, e la sua indissolubile ambivalenza viene sublimata in un dialogo la cui ambiguità riflette quella duplicità di fondo che ha guidato le azioni del protagonista sin dagli albori della sua carriera criminale: estremo gesto d’amore verso la propria moglie e verso la propria famiglia, per scagionarla di ogni accusa? Rancorosa rivendicazione delle motivazioni che hanno portato Walter a fare ciò che ha fatto? Estrema manifestazione di una hybris che, da sempre, ha caratterizzato il personaggio, covando tra le ceneri dell’insoddisfatto e frustrato Professor White? Persino George R. R. Martin, la mente malata ideatrice dell’atrocità ricordata solo poche righe più sopra, ha definito Walter White “a bigger monster than anyone in Westeros”…
Runner up: Justified, S04 Ep.11 “Decoy” (FX, Winter ‘13)
Le 10 Peggiori Serie TV del 2013
#10 Homeland, S03 (Showtime, Fall ’13)
Giudizio troppo severo, dite? Beh, parliamo dei colossali buchi di trama, tra doppi giochi assurdi e colpi di scena improbabili, allora. O del mento tremulo di Carrie. O dell’intollerabile sicumera barbuta di Saul. Doveva essere la stagione del riscatto, rischia di essere il colpo di grazia. Il finale ha chiuso la vicenda-Brody, purtroppo con due stagioni di ritardo. L’odiosa Dana, inspiegabilmente, è ancora viva. Unico pro: il finale consegna nelle mani degli sceneggiatori la possibilità di un nuovo inizio, teoricamente al riparo dal vicolo cieco che ha fortemente condizionato la stagione appena conclusa. Hall Of Shame: la scelta di relegare Quinn (Rupert Friend), uno dei pochi personaggi interessanti, al ruolo di offri-sigarette, è sciagurata.
#9 House Of Lies, S02 (Showtime, Winter ‘13)
Che Showtime non sia il canale adatto a me? House of Lies è una dramedy un po’ sguaiata che gioca a fare la dramedy un po’ sofisticata. Dosi elefantiache di cinismo e battute pesanti, ma in tutta la stagione mi avrà strappato sì e no due mezzi sorrisi. I talento dei due lead Don Cheadle e Kristen Bell sembra tenuto a freno dal tono monocorde dei dialoghi, raffiche al vetriolo sparate al vertiginoso ritmo di 500 parole al secondo ma mai realmente efficaci. Hall Of Shame: il cinismo è la cifra dello show, e tra tanti personaggi detestabili fino al midollo Clyde (Ben Schwartz) è forse il più insopportabile.
#8 The Killing, S03 (AMC, Summer ’13)
Ah, niente da fare: Veena Sud ci ha provato ancora una volta, riportando miracolosamente in vita una serie a cui era già stata data l’estrema unzione un anno fa, ma il prodotto non migliora. Tra i tanti nipotini più o meno legittimi di Twin Peaks, The Killing è senza dubbio il peggiore. La qualità estetica sarebbe anche piacevole (magari un po’ monotona nella sua insistita uggiosità), e Mireille Enos fa il suo, ma il plot è lacunoso come pochi, imperniato ancora una volta solo e unicamente sul meccanismo delle false piste. Ok le atmosfere, ma un crime drama la cui trama è prevedibile non va da nessuna parte. Hall of Shame: purtroppo, The Killing si conferma… un-killable: Netflix l’ha salvata dall’ennesima cancellazione. Booo!
#7 The Walking Dead, S03.2/S04.1 (AMC, Winter ’13/Fall ’13)
Che macini ascolti comparabili solo al football americano importa poco. La spinta propulsiva della “Zombie Apocalypse” si è esaurita da tempo, ma la sceneggiatura è così debole che le uniche sequenze godibili restano quelle puramente splatter (il che è tutto dire, data la ripetitività delle situazioni). I cattivi sono così cattivi da sembrare la caricatura dei cattivi, e i buoni — che dovrebbero apparire tormentati e moralmente combattuti — finiscono per essere delle lagne insostenibili. Peggio la S03.2 della S04.1 appena conclusa, ma solo di un’incollatura. Hall Of Shame: ad ogni episodio auguro a Glenn e Maggie di finire divorati, per porre fine a questa insulsa love story tra il cartonato asiatico (Steven Yeun) e la cartonata campagnola del sud (Lauren Cohan).
#6 Low Winter Sun, S01 (AMC, Summer ’13)
Um, tre fallimenti in serie targati AMC, brutto segno… Questo è un poliziesco così oscuro e livido e brutale da essere collocabile a metà strada tra il puro esercizio di stile e la bieca collezione di cliché. Di primo acchito sembra avere le carte giuste per un buon prodotto di genere: poliziotti corrotti, lo sfondo di una metropoli squallida, grigia, dura e dall’immaginario criminale tristemente fecondo come Detroit, e un cast di livello (Mark Strong, Lenny James e due alumni di The Wire, James Ransone e David Costabile). Il problema è che finisce per essere il solito, vecchio, prevedibile, abusato prodotto di genere: un poliziesco dalla moralità ambigua infarcito di dialoghi pretenziosi. Hall Of Shame: ““Folks talk about morality like it’s black and white…”: bastaaaaa!
#5 Ray Donovan, S01 (Showtime, Summer ’13)
Vale più o meno lo stesso discorso fatto sopra: Ray Donovan è la caricatura del tormentato e moralmente ripugnante antieroe che ha fatto la fortuna della Golden Age della televisione, ma che riproposto tale e quale mostra chiari segni di usura. La premessa dello show è labile (Ray è un fixer bravissimo nel risolvere i guai altrui, ma con una famiglia destinata ad andare in frantumi e un grosso problema che invece non riesce a risolvere, ovvero… il proprio padre) e ciò che lo caratterizza è soprattutto la noia e lo spreco del talento di Paula Malcolmson e della personalità di Jon Voight. Hall Of Shame: la critica generalmente poco benevola nei confronti della serie non ha disprezzato la prestazione di Liev Schreiber, ma io l’ho trovata di una piattezza epocale.
#4 Dracula, S01 (NBC, Fall ’13)
Il problema non è tanto nello stravolgimento della figura letteraria di Dracula. Anzi, ben vengano adattamenti e stravolgimenti. Certo, quello operato in questo caso non è proprio convincente (Dracula & Van Helsing alleati contro l’Ordo Draco, Ka$ta di petrolieri che i due nemiciamici vogliono sconfiggere con la produzione di lampadine eco-friendly) ma con un po’ di ironia ce la poteva fare. Il problema vero è che Dracula è scritto malissimo, e recitato peggio. Hall Of Shame: Johnatan Rhys Myers gode inspiegabilmente di ampio credito presso la critica, ma al di là del terribile finto accento americano in cui si deve cimentare a causa dei deliri degli sceneggiatori, la sua interpretazione è così banale da rendere soporifero uno dei personaggi più affascinanti della cultura pop.
#3 Da Vinci’s Demons, S01 (Starz, Spring ’13)
David Goyer lo ha spacciato per fumettone storico-fantasy, ma voi rubricatelo sotto la voce “colossale cafonata”. Che il realismo storico non fosse in programma era ovvio, ma Leonardo da Vinci (Tom Riley) con il giubbottino di pelle come Fonzie (o Renzi) come lo vedete? Leo è un incrocio tra Indiana Jones, Casanova, Tony Stark e Sherlock Holmes, il conflitto politico tra Roma e Firenze è ridotto ad un vago “oscurantismo vs libertinismo”, la sottotrama esoterica è quantomeno confusa (gita in Valacchia e cena dal Conte Dracula? Check!), il cast è tra i peggiori mai visti, e la pronuncia dei pochi vocaboli in italiano atroce (“Me-DEE-tchi“, of course). Hall Of Shame: il miglior modo per caratterizzare la dissolutezza e la crudeltà di un personaggio? Insinuarne — o dichiararne — l’omosessualità.
#2 Hemlock Grove, S01 (Netflix, Spring ’13)
Perché va bene decantare le lodi di Netflix e delle sue produzioni originali, ma questa è davvero orribile. Così orribile che non si lascia guardare neanche come guilty pleasure. Così orribile che, nonostante violi la regola che mi ero imposto (vedere almeno il 50% della serie prima di giudicare) andare oltre il pilota è stato impossibile. Dice: “Ma allora come fai a dire che sia brutta? Magari migliora!”. Se anche voi aveste visto l’episodio pilota non direste così. Eli Roth ha messo insieme un accozzaglia di stranezze tenute insieme dal cattivo gusto, e se il tentativo era quello di creare un prodotto eccessivo e sopra le righe partendo dall’immortale classico “piccola cittadina nasconde grandi misteri” ci è riuscito, ma per le ragioni sbagliate. Hall Of Shame: indeciso tra i due giovani attori principali scelgo entrambi, soprattutto a causa dei loro pronunciati zigomi lucidi.
#1 The Newsroom, S02 (HBO, Summer ’13)
Signore e signori, una conferma! Il peggio del 2012 è tornato più irritante e più saccente che pria a reclamare ancora una volta il suo poco ambito premio. Dopo le feroci critiche, Aaron Sorkin ci ha riprovato, cercando di mettere una toppa ai macroscopici difetti della prima stagione. E via con le promesse: personaggi meglio caratterizzati, personaggi femminili meno idioti, e, soprattutto, un lungo arco narrativo (il caso Genoa) finalizzato a dare alla stagione una parvenza di coerenza. Ora sì che Sorkin potrà davvero fare sfoggio della propria innegabile (?) maestria (?!) in una narrazione di fiction propriamente detta! E al contempo potrà anche aggirare una delle critiche principali mosse al suo prodotto: “troppo facile — dicevano i detrattori — armarsi del senno di poi per rileggere gli eventi del recente passato e mostrarsi integerrimi giornalisti a posteriori”, a cui Sorkin ha potuto finalmente rispondere, con la sua rinomata alterigia, “E allora eccovela, la notizia finta” (che poi finta lo è stata in tutti i sensi, ma non divaghiamo). Persino la sigla iniziale pareva riflettere questi buoni propositi. Ahimè, tutto inutile: The Newsroom lo si guarda solo per assecondare quell’irresistibile impulso che ci spinge a fissare lo sguardo, chessò, su un disastro ferroviario. Magari ben coreografato e occasionalmente ben ripreso, ma pur sempre un disastro. Aspetti la puntata successiva con ansia, ma solo per scoprire quale altra assurdità moraleggiante tirerà fuori dal suo cilindro. Quale altra patetica battuta di spirito ironizzerà sull’ingenuità dell’americano medio (cosa di cui solo l’americano medio non è consapevole, e quindi farà sbellicare dalle risate solo i liberal mediamente acculturati, facendoli al contempo sentire intelligentissimi). In quale altro modo supponente verranno ridicolizzate le nuove tecnologie, con argomenti che rendano evidente come la critica provenga da qualcuno che non le conosce né le comprende. In quale altro modo cercherà di dipingersi come caustico e intransigente, risultando solo conformista e consolatorio. Lo so, ci sono quelli che diranno che non è così, che Sorkin lo si ama o lo si odia, che i dialoghi (magari riciclati più volte) sono i più belli mai concepiti nella storia della cinematografia mondiale (ma fatemi il santissimo piacere, fatemi!), che le gag che inframmezzano detti dialoghi sono di una portata comica senza pari (ma rifatemi il santissimo piacere!)… Balle. Tutte balle. The Newsroom è paternalista, altezzoso come chi pensa di girare con la verità in tasca e ha un’irrefrenabile attitudine al predicozzo. Per tutti quelli che non ci credono, o che non sono d’accordo, ho una sola risposta: Maggie e la sua avventura africana, summa di tutto ciò che non funziona in The Newsroom. Hall Of Shame: i personaggi sono così odiosi da penalizzare anche prestazioni attoriali non particolarmente disastrose. Sam Waterson, tuttavia, potrebbe essere riuscito ad adeguare la propria recitazione al livello del suo ignobile personaggio.
(Dis)honorable Mentions
Se è vero com’è vero che l’annata 2013 è stata sorprendentemente ricca di pregevoli debutti (o anche di superbi debutti), questo inatteso stato di grazia non si è esteso alle novità proposte sui broadcast network. A fronte di una programmazione mastodontica e al lancio (quasi) simultaneo di dozzine di novità, le serie più reclamizzate, quelle destinate a dominare gli ascolti autunnali, sono state, a mio giudizio, dei fiaschi epocali. Contenuti banali e personaggi con lo spessore di una sagoma di cartone sono il tratto che accomuna The Blacklist (NBC, Fall ’13), Marvel Agents of S.H.I.E.L.D. (ABC, Fall ’13), Almost Human (FOX, Fall ’13) e Reign (The CW, Fall ’13), le quali non compaiono nella Top 10 dei peggiori solo perché non sono riuscito ad andare oltre l’episodio pilota (unica eccezione a questa regola è stata la già citata Hemlock Grove, perché lì il kitch era davvero oltre i livelli di guardia).
Anche sul cavo — sia premium che basic — non è tutto oro, e gli esordienti The White Queen (Starz, Summer ’13), Mob City (TNT, Fall ’13) e Hello Ladies (HBO, Fall ’13) hanno scampato di un soffio l’inclusione tra le peggiori dieci serie, ma troverebbero di sicuro un posto tra le peggiori quindici. Defiance (SyFy, Spring ’13) ha creato una mitologia fantascientifica di contorno sufficiente a riempire sei tomi e ad ispirare un videogioco che in teoria dovrebbe complementare la serie televisiva, ma ha vanificato tutto con un primo episodio di rara cialtronaggine, e si salva solo grazie alla già citata regola autoimposta. The Bridge (FX, Summer ’13) non è stata così terribile, ma si guadagna la mia disapprovazione per aver vanificato una buona prima parte di stagione con una disastrosa conclusione della trama principale, e per aver lasciato solo a livello di abbozzo alcune sottotrame promettenti. Di sicuro l’irrealistico obiettivo di inizio stagione (tenetevi: emulare The Wire nella rappresentazione epica di un’area geografica travolta da una moltitudine di problemi… E ora ridete!) è stato ampiamente mancato. [NdA: HAHA! Maddai?! Ma questi davvero pensavano...]
Tra le serie veterane, immagino nessuno si aspettasse grandi cose da How I Met Your Mother (S09, CBS, Fall ’13), eppure un guizzo d’orgoglio in occasione della stagione finale ci poteva stare. Invece niente, EEG piatto (vedi sotto). Dexter (S08, Showtime, Summer ’13) io non l’ho (mai) vista, ma poiché devo ancora leggere un parere anche solo semi-positivo sul series finale direi che non è troppo azzardato pensare di relegarla tra gli insuccessi.
Peggior Episodio
How I Met Your Mother, S09 Ep.11 “Bedtime Stories” (CBS, Fall ’13)
The Newsroom avrebbe probabilmente potuto stravincere anche in questa categoria con uno qualsiasi dei nove episodi della sua seconda infelice stagione, ma volendo fare le cose in modo onesto ho pensato che così, su due piedi, il peggio del peggio non mi sovveniva, e per determinare l’episodio avrei dovuto rivederli uno per uno. Poiché non mi è minimamente passata per la testa l’idea di sottopormi a un supplizio simile, ho cambiato idea, risparmiato il secondo cucchiaio di legno a Sorkin, e scelto quella che, a memoria, è la mezz’ora di televisione più irritante di tutto il 2013. Che la nona stagione di HIMYM sarebbe stata asfittica era l’aspettativa più ragionevole che si potesse avere. Che la premessa della stagione fosse limitante per lo svolgimento della trama (benché flebile come quella di una sit-com), anche. Che la carenza di idee degli sceneggiatori fosse arrivata al punto di non ritorno, così da doversi inventare come filler un episodio interamente recitato in rima, beh, questo era un po’ meno prevedibile. “Bedtime Stories” batte tutte le precedenti sessanta puntate (episodio più, episodio meno) infarcite di gag mediocri a cui HIMYM ci ha ormai abituato, segnando l’indiscusso nadir della serie. Tre storielle una più noiosa dell’altra, ma soprattutto tante, troppe rime così azzardate da suonare stonate anche al mio orecchio non nativo. Neanche la frecciatina a LeBron mi ha strappato un sorriso.