Abbiamo bisogno di un nuovo 68

Creato il 17 settembre 2010 da Dallomoantonella

“ Venitemi intorno,

dovunque vaghiate

e riconoscete che le acque

sono cresciute

e che presto le avrete

alla gola:

e se credete che valga

la pena di salvarsi,

allora è meglio che

cominciate a nuotare,

ché sennò affonderete

come pietre

perché i tempi stanno

cambiando,

e colui che oggi è lo sconfitto

domani sarà il vincitore.”

Da The times are a changing (I tempi stanno cambiando)  

Dopo il 1959 come data storica  non può mancare all’appello  il 1968, l’anno della rivoluzione giovanile, o meglio, dell’inizio della  contestazione  giovanile e di una serie di cambiamenti  dopo i quali il mondo occidentale ha cambiato radicalmente il suo costume.  Anche questa come quella   Rivoluzione si  può  ritenere  non riuscita o riuscita solo a metà, entrambe  dimostratesi   dei rami   che non hanno saputo portare  il  frutto  sperato.

Per lo meno, non ancora, perchè non è detto che quello che non si è riusciti  a fare in  vent’anni di  terrorismo politico e di scontri sociali  non si sappia   poi  recuperare in altrettanti  vent’anni di  revisione e di  ritorno a quelle tematiche, a quelle pulsioni, a quelle esigenze di libertà e di  verità  rimaste del tutto  immutate e vive.

Facciamo allora un pò di analisi sulla questione;  si cominci con l’osservare  che è tipico di ogni fiamma rivoluzionaria il suo emergere  improvvisa   ed incontenibile,  è stato così  per i moti  risorgimentali, è stato così  per ogni  movimento  che volesse di per sè e per sè  porsi  come  momento di svolta, di cambiamento, di  slancio  verso    il futuro.

Ogni  movimento  rivoluzionario  ha sempre avuto la prerogativa  di far immaginare e di far presagire  un futuro immediato  dove le cose, le persone, la natura ed il tempo  non sarebbero più stati gli stessi.

E’ accaduto  con l’avvento  dell’ebraismo  che attende  invece da cinquemila anni il suo Messia;  è accaduto con l’avvento del cristianesimo che da duemila anni attende  l’avvento  della  Resurrezione dalla morte; è accaduto con il marxismo   che  dalla sua comparsa  sta   proclamando   la fine del   capitalismo;  e lo stesso si è ripetuto con l’avvento del  movimento  giovanile  che dal 68  attende  la  fine dell’ingiustizia  nel mondo  con   l’avvento del   Bene.

Si proceda con il dire allora  che il 68  è stato per l’appunto un movimento  di giovani, portato avanti dai giovani  e per i giovani che si sono resi per la prima volta protagonisti del loro tempo, della loro società, della loro vita, con tutte le difficoltà del caso, visto che lo  hanno fatto  in una società  che era da sempre stata gestita  dai vecchi, da persone mature e ben  quadrate, abituate da sempre  a ritenersi  le uniche  demandate al governo  della  politica.

Per la prima volta l’essere giovane si è posto   come momento di per sè qualificante, di per sè prezioso e strategico; un giovane in quanto tale  non si è ancora inserito in un sistema corrotto e perverso, quindi non è ancora  stato  contaminato dalle regole  del gioco  sociale   e politico  dettato da chi si è sottomesso e compromesso  con le regole  dell’involuzione e dell’essere conservatore  di cose sbagliate e superate.

A  seguito  di tutto questo discorso mi sorge spontanea la domanda:  quale parallelismo  si può tracciare  tra i giovani di allora  ed i giovani di oggi? Come  si muovono, pensano, agiscono, cosa desiderano, cosa cercano, a cosa aspirano questi   candidati   protagonisti   del nostro attuale  contesto  sociale?

Io oggi ho cinquant’anni, nel 68 dunque ne avevo circa dieci, ero allora troppo piccola  per capire quello che stava accadendo sotto i miei occhi; quando nel 78 il  ministro Aldo  Moro veniva barbaramente giustiziato   dalle  Brigate Rosse   avevo però diciotto  anni  e qualcosa ho cominciato a capire, a valutare.

Ho  capito che   quella politica violenta  e sanguinaria non avrebbe portato a nulla di buono, ho valutato   che c’era una sinistra  estrema  che   stava  nuocendo al paese, ho pensato  che il sangue avrebbe portato altro sangue ed altra violenza;  ho sperato   e creduto   che ci potesse  essere un altro modo  per  portare il Paese  fuori  da quella condizione di odio e di veleno.  Ho valutato anche  che per esserci una sinistra  violenta  doveva anche esserci una destra altrettanto  poco  disposta  al dialogo,   che in genere non si litiga mai da soli, non si va in piazza a tirare bombe  se non c’è un nemico da colpire.

La  mia cultura cattolica, la  mia formazione  cristiana, la  mia stessa educazione  provinciale e borghese   mi  hanno sempre tenuto nel solco  della tradizione  e di un sentire comune  improntato al senso di responsabilità  verso  le proprie azioni e verso  i bisogni  familiari  e  collettivi. Forse fin troppo proiettata verso i bisogni collettivi  e troppo poco  ancorata ai bisogni personali.

Allora  avrei avuto la  possibilità  di diventare in poco tempo un’insegnante di ruolo ma i casi  della vita,   per  pura  accidentalità,   mi hanno portato su un’altra direzione. 

Solo  molto più tardi, ormai   adulta ed ormai   madre di famiglia,  ho potuto riprendere un  percorso formativo e professionale  che  purtroppo  oggi reincontra  tutte le difficoltà  di un momento  politico ed economico  per nulla favorevole e senz’altro peggiore, sotto certi aspetti, di quello di allora.

Non ho nessuna intenzione d’arrendermi,  non mi dò per vinta,  a  dispetto dei miei cinquant’anni  che non mi sento e che non mi  vedo  affatto  addosso.

Se  Fidel Castro  a  ottantaquattro anni suonati dopo essere resuscitato  dalla  sua  gravissima condizione  fisica, riesce a fare cose pressochè incredibili solo grazie alla sua tempra ed al suo carattere, perchè non dovrei farcela io  ad avere la meglio  su una serie  di  congiunture negative   che  di certo non  saranno  imperiture  e  che  non minacciano ancora  affatto  la  mia salute?

Certo,  io non ho i mezzi di Fidel, questo gioca a  mio svantaggio,  ma  voglio pensare   di potercela  fare,  voglio  credere che per me lavorerà anche la buona sorte e non solo la mia ancora non  irrecuperabile occasione.

Se io che sono praticamente non più giovane  posso  credere questo,   cosa  non potrebbero sapere pensare i giovani  che pur incontrando  una serie di  condizioni  infelici  hanno comunque l’età e dunque il pensiero e dunque il fisico e dunque il cuore  per potere ancora  Rivoluzionare  lo stato delle cose che li circonda?

Cosa gioca malamente    più di ogni altra cosa in   un giovane  che oggi si trova   ad incamminarsi  sulla strada  del proprio futuro?  Forse la poca  voglia di sapere attendere la propria  occasione? Forse  il fatto di sentirsi  inadeguato  di fronte alla complessità   dei problemi chiamato ad affrontare? Forse  l’errato   pensiero  che  si può  continuare a rimanere  giovani  fino a che  il   tempo ce lo permetterà? Forse  la mancanza di ideali?  Forse un’educazione  che ha concesso tutto e troppo  fino a produrre esseri spesso smidollati e  senza nervatura?   Forse l’idea di sentirsi  abbandonato  e senza  adeguato  sostegno? Forse la mancanza di esempi?

Cosa ha giocato  nel 68  e nel 78  contro quei giovani  che  si sono scelti una strada  improntata al terrorismo ed alla rivendicazione armata?  Di certo  una  società  che li ha  saputi e potuti e voluti  stritolare,  richiamandoli  alle loro responsabilità, colpe che hanno dovuto pagare tutte o quasi, colpe che stiamo pagando ancora adesso. Le loro richieste erano giuste, i loro mezzi per perseguirli sbagliati.

Così come la società ha operato con successo   attraverso i suoi strumenti giudiziari legislativi e politici  contro il crimine,   un giovane  o più giovani o una classe di giovani possono  operare positivamente  contro una società  che li stritola  con  altrettanti  strumenti  legislativi  e politici. Come?  Con  altrettanti strumenti  legislativi e politici. Presumo  mettendosi a fare  qualcosa  di seriamente  costruttivo, magari  cominciando  ad andare  al  voto   con l’idea  di  voler mettere al governo qualcuno  che li sappia sul serio   rappresentare.

L’altro ieri  sentivo  alla radio radicale   il prof.  re  Massimo  Fagioli  che  diceva di Nichi Vendola: “ Non potrà mai essere il leader  della sinistra perché è cattocomunista  ed  è frocio”

Senza nulla togliere all’eccellenza  di  questo emerito   maestro  di psichiatria (che non è oggetto di questa  riflessione),  non mi ha colpito dell’intervista, senza nulla togliere e senza nulla aggiungere a tutto quello che si può dire e che si può non dire sul personaggio,    l’uso dei termini;   anch’io amo il linguaggio diretto e non velato,  so che all’interno di un discorrere ci possono stare le espressioni colorite nell’intercalare  dei ragionamenti,  ma  mi ha   nella  circostanza   interessato    il silenzio  quasi  sgomento   del suo interlocutore che sentendolo  parlare in quel modo gli ha allora chiesto “Non ha  mai pensato di potere diventare  un uomo di destra?” e l’interpellato ha risposto: “Giammai, destra è uguale a conservazione,  è uguale a mortificazione dell’essere umano; io invece credo nel cambiamento, credo nell’uomo e nelle sue possibilità”

Bene, ottimo, che  lo  si possa  allora  dimostrare  anche verso il sig. Nichi  Vendola  che mi sembra ne abbia di numeri  da esibire a suo vantaggio. Se proprio  non lo si può ritenere adatto ad essere il leader del comunismo  italiano (mi piace usare ancora  questa parola  anche se di fatto  ha cambiato pelle ed ha cambiato nome…)  allora  si dica una volta per tutte  chi può essere questo candidato,  perché davvero non se trovano che sappiano  accontentare  tutti e che sappiano  fare fronte  a  questa  destra  che invece  da tempo  non fa che  centrare colpi su colpi tutto a svantaggio  purtroppo  del tessuto sociale  ridotto ormai ad un colabrodo. Chi possiamo  ritenere  l’erede del mitico  Berlinguer? Veltroni, Bersani, Prodi, D’Alema, Franceschini,  Rutelli?  Ce ne potrebbero essere  altri ma non mi rinvengono i nomi e se non mi rinvengono nemmeno i nomi vuol dire proprio  che  non stanno nemmeno  dentro la memoria collettiva.

Se fossi di sinistra  mi chiederei  quale sia  la ricetta vincente del buon compagno  cattocomunista e frocio,  mi chiederei  cosa  dovere modificare  nella mio agire  politico e nel mio contenuto  comunicativo,  non solo ritenendo Nichi   Vendola   un esempio vincente  ma  ritenendo  la  stessa destra  un altro esempio non  di certo  condivisibile ma  in qualche modo  da  imitarsi.

Se fossi di  destra  non mi vergognerei  di dire al mondo intero di avere votato Berlusconi o la  Lega,   direi e spiegherei  le ragioni della mia scelta,   sostenendo che  il paese  ha bisogno di stabilità e di governabilità e di riforme.

Quello che davvero non mi riesce di capire è perché non si riescono   a trovare elettori disposti ad ammettere senza problemi  di avere  votato per questo governo.  Ma  allora  ci rendiamo tutti conto che questo  governo sta distruggendo cose positive  che sono costate anni ed anni di lotte e di  sacrifici?  O  semplicemente  ci si vergogna di essere tra quelli  che se ne fregano  del sociale e non si ha la pubblica faccia di dichiararlo.

Non ho la vocazione dei laterali   ma ho la vocazione della mediazione, non perché la verità stia nel mezzo,  ma perché  credo che  in politica  sia un uomo di destra   che di sinistra possono essere utili ad un paese, possono produrre qualcosa di buono, possono avere idee vincenti.

Dove invece  non mi riconosco affatto  mediatrice  è  nell’ascolto  dei propri desideri profondi;  non si può di fronte a scelte radicali  che di fatto dettano  la  propria  esistenza  essere  uno che sta nel mezzo,  che bilancia, che temporeggia;   o si è dentro o si e fuori, o si è favorevoli o si è contrari, o si ha il coraggio  del rischio o non si rischia.  Insomma, come dire, della propria vita possiamo decidere solo noi stessi,  ma della vita di tutti dobbiamo sapere ascoltare  la platea…

Credo anche   che la nostra società  abbia bisogno di un nuovo sessantotto, di una nuova primavera  che sappia  smuovere i popoli, giovani e non giovani, tutti uniti  verso lo stesso  obiettivo. Credo che così come la vita di ognuno di noi necessita di albe folgoranti, di incontri stravolgenti,  di  svolte  radicali, anche una società  intesa come un mondo  uniforme e compatto  abbia bisogno  delle sue  ere, delle sue  chiamate collettive.

C’è  bisogno per questo  di un  nuovo momento rivoluzionario    che abbia voglia  di  stare  nella piazza,  di ritornare nelle  strade,  di uscire da ogni moda  di tendenza,  di sapere guardare oltre  le  temporanee  ed  effimere  offerte   del mercato, in un contesto che possiamo dire di fatto ormai   multirazziale, multi religioso, multi politico, oltre ogni colore, religione, bandiera.

Andare nelle piazze non per buttare bombe,  ma per  dichiarare  semplicemente  quelli che sono i nostri  progetti   da costruire.

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