In Italia si parla da almeno una decina d’anni della necessità di una Carta dei Diritti della Rete. Fra i primi a farsene promotore fu Stefano Rodotà al termine del suo mandato di Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, e ancora oggi – legittimamente – è suo il nome che maggiormente tra i fautori della Dichiarazione dei Diritti in Internet presentata ieri.
L’iter che ha portato a questo provvedimento ebbe inizio nel 2006 con la Dynamic Coalition on Internet Rights and Principles, un’iniziativa italiana varata a livello globale ad Atene in occasione dell’Internet Governance Forum. Prima dell’Italia, però, a dotarsi di una sorta di Costituzione per Internet è arrivato il Brasile, che ha approvato il Marco Civil da Internet ad aprile 2014, dopo un percorso di circa cinque anni e concluso in accelerazione (anche) in seguito a quanto emerso con il Datagate.
L’Italia, a livello istituzionale, si è mossa dopo: la Commissione di studio sui diritti e i doveri relativi ad Internet è stata istituita il 28 luglio 2014 e da lì sono partite audizioni di associazioni, esperti e soggetti istituzionali, nonché una consultazione pubblica durata cinque mesi. La carta italiana è stata presentata esattamente a un anno dall’istituzione della commissione, formata peraltro da professionisti seri e riconosciuti.
E’ nata da una Commissione di studio e, dal punto di vista dell’orientamento da prendere in tema di leggi in materia di Internet, questa carta appare come un buon punto di partenza. Contiene principi sacrosanti e condivisibili da tutti. Ma quando si dovrà legiferare su queste tematiche, il legislatore li rispetterà? E’ tenuto a farlo? Abbiamo una Costituzione che viene definita la più bella del mondo e sovente non viene rispettata, quindi chi può dare garanzia che la nuova Dichiarazione dei Diritti in Internet venga presa in considerazione?
Sarebbe opportuno che tutto questo impegno profuso in una carta si concretizzasse prima nell’obiettivo del migliore utilizzo possibile di Internet da parte di tutti gli utenti: tanto per fare un esempio, non è importante solo l’accessibilità, ma anche l’utilità e la fruibilità di ciò che Internet rende disponibile.
Possiamo avere una Pubblica Amministrazione dotata di tutte le piattaforme tecnologiche che vogliamo, pensare ad una scuola digitale e connessa a reale beneficio dell’attività didattica, puntare ad abbattere l’invadenza della burocrazia. Esistono milioni di applicazioni tecnologiche che possono migliorare la qualità della nostra vita… ma molte di queste soluzioni spesso si rivelano complesse e non alla portata di tutti, perché ciò che va abbattuto è quel digital divide che – lo dico spesso – è anche una questione culturale e non solo di dotazione tecnologica.
Per prima cosa, a tutti deve essere garantito il diritto di poter sfruttare la rete a proprio beneficio e nel rispetto dei diritti di chiunque altro. Per poterli salvaguardare è fondamentale puntare ad attività di alfabetizzazione (imparare ad usare gli strumenti) e alla massima usabilità dei servizi (da realizzare mettendosi dalla parte dell’utente). Ben venga, dunque, una Costituzione per Internet, ma che possa essere davvero utile ed efficace, e che possa davvero costituire un riferimento e una garanzia per tutti, e non solo una carta a livello simbolico.
Precisazione: Questo post parla di Internet nella stessa misura in cui ne parla il documento presentato ieri. Internet è uno strumento, un mezzo, e non un mondo parallelo che richiede una legislazione diversa dal mondo in cui viviamo. Ogni diritto e ogni legge già in vigore deve valere per ogni fattispecie, analogica o digitale che sia. Certo, laddove esistano lacune vanno colmate, ma solo a questo scopo ha senso parlare di necessità di salvaguardare diritti in Internet.