Le elezioni nazionali 1921 consegnarono la maggioranza parlamentare alle sinistre (150 deputati socialisti ai quali vanno aggiunti 30 delegati comunisti). Il Paese era scosso dalla grave crisi economica seguita alla Grande Guerra, le tensioni sociali erano alle stelle e il Biennio Rosso faceva ancora sentire tutto il carico destabilizzante del suo strascico. Tra le fila socialiste, si segnalavano due deputati, tali Abbo e Barberis, che possono definirsi i precursori dell’ “anticastismo” nazionale; il primo, Abbo, era solito presentarsi a Montecitorio con il berretto da ciclista e senza colletto (per dimostrare la propria alterità rispetto al formalismo borghese dell’aula, mentre oggi si usano gli apriscatole). Il secondo, Barberis, incentrò tutto il suo lavoro parlamentare sulla richiesta di abolizione della Guardia Regia. Tale e tanta fu l’insistenza del Barberis in questa sua “battaglia”, da renderlo, ben presto, lo zimbello dell’ Aula. Il Paese non fu in grado di darsi un governo, e di lì ad un anno precipitò nelle mani dell’esigua minoranza fascista (25 deputati), anche a causa della miopia demagogica di quelle forze e di quegli uomini che avevano preferito sterzare verso la semplificazione demagogica e populistica, illusi di trarne un facile consenso e profitto. Allo stesso modo, il M5S e il suo pittoresco condottiero, fanno leva su un problema puramente simbolico ma non sostanziale (i privilegi e i costi della politica), per scalare le vette del gradimento popolare, approfittando dell’odio e del risentimento che, soprattutto nei segmenti congiunturali più difficili e sensibili, si vengono a creare nei confronti di chi amministra. Ho parlato di problema simbolico e non sostanziale perché non sono, nei numeri, i costi della politica a pesare sulla situazione economica e gestionale del Paese; l’Italia necessita di un governo, e di un governo forte, per correre a Strasburgo e a Francoforte a rinegoziare il suo debito. L’Italia necessita di un governo, e di un governo forte, che vari quel pacchetto di riforme indispensabili alla rinascita delle imprese, alleggerendo la pressione fiscale, aumentando gli stanziamenti, sbloccando le liberalizzazioni. L’Italia necessita di un governo, e di un governo forte, che snellisca l’apparato burocratico, rivitalizzando così le amministrazioni locali (L’Aquila puzza ancora di umidità e marciume per colpa della burocrazia pachidermica che impedisce l’impiego dei fondi raccolti per la ricostruzione). L’Italia necessita di un governo, e di un governo forte, che riveda le leggi sul precariato, varate e consolidate con il Pacchetto Treu e il Protocollo sul Welfare (esecutivi di centro-sinistra e senza Matteo Renzi). L’Italia non ha bisogno di nuovi masanielli, di profeti del vaffanculo armati di apriscatole, come ieri non aveva bisogno di Abbo e Barberis.
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