Inoltre, -abile è diventato, nella nostra lingua, un diffusissimo suffisso che, unito a verbi della prima coniugazione, dà luogo ad aggettivi che indicano idoneità: mangiabile, trasportabile, stirabile; oppure qualità morale: amabile, stimabile, deprecabile eccetera.
Nel caso di carrozzabile invece l’aggettivo è formato dal suffisso -abile unito ad un sostantivo: carrozza.
Il contrario di abile è inabile, cioè “incapace”.
Quando l’incapacità deriva da limitazioni fisiche abbiamo disabile.
C’è chi dice diversamente abile, ritenendo che dis-abile crei una dis-criminazione. E questo secondo l’etimologia, dal tardo latino discriminatio, vorrebbe dire distinzione, separazione, e peggio ancora, esclusione.
Ma siamo sicuri che l’eufemismo diversamente abile sia più rispettoso che non l’onesto disabile, verso chi dolorosamente porta una sua disabilità?
Questo discorso ci porta ad aprire una breve parentesi sull’eufemismo, vezzo dei nostri giorni molto diffuso dal giornalismo.
Dal greco eu phemì, cioè “parlo bene”, deriva il termine eufemismo che sta ad indicare l’uso di una parola o una frase gradevole o attenuata per significare cose che in sé suonerebbero sgradevoli o dolorose.
Oltre a diversamente abile per disabile si possono fare vari esempi: situazione non facile per indicare una situazione difficile; “è mancato” per dire “è morto” (una volta si diceva “è passato a miglior vita”); mobilità al posto di disoccupazione; ma anche lucciole per prostitute. Se ben ci pensiamo, anche killer al posto di assassino è un eufemismo.
Spesso l’uso dell’eufemismo dà un tono di poca chiarezza e di poca sincerità al discorso.
E allora domandiamoci: è sempre così necessario “indorare la pillola”?
Tratto dai Dizionari del Corriere