Feroce e benevolo nitrisce raffiche sul colle,
scale frigie avviluppate su cinque note circolari.
capricci lasciati sfuggire da un custode fedele alla Dea Madre.
Neanche un dio, il conducente del carro, eppur più che uomo,
meno di un destriero ultraterreno
che è eterno servitore dal nome mutevole:
Coltrane nel tempo diviene aggettivo,
oggi è verbo Santana, domani tornerà Abraxas,
infinitamente di cinque note innestate su un modo
che prende titolo da quel popolo anatolico.
Aliti divini percorrono i valli di triskele,
secolari flussi di aria che attraversano
anfratti, fessure, anguste strettoie,
In attesa che i pelasgi riemergano
ad esporci i misteri di questi suoni
di cui solo possiamo essere custodi.
Conducenti di un carro non pienamente governabile,
disgraziati come Eolo, caduchi eppure con la speme
nel cuore, di riuscire a valicare i 365 cieli
che ci separano dall’Altissimo Eone.
Solo un carro, trainato da alchemici cavalli,
dono olimpico agli ingrati isolani di questo sistema planetario.
Urleremo ai corsieri per farli rallentare,
nel momento della paura, al primo cielo.
Ma non conoscendo i nomi che dalla vetta furon assegnati,
ci affideremo al ricordo di un antico genitore di incestuosi figli.
Ricordo sbiadito in secoli d’infausti rumori
e ancor peggiori azioni. Urleremo finalmente un nome
e così, forse, tornerà l’unico Padre Ingenerato,
che ancora si cela sotto spoglie equine.
Riascolteremo il vento, domani tornerà Abraxas,
infinitamente di cinque note innestate su un modo
che prende titolo da quel popolo anatolico.