ACAB: All Cops Are Bastards - La Recensione

Creato il 29 gennaio 2012 da Giordano Caputo
All Cops Are Bastards è la definizione estesa dell’acronimo ACAB, titolo dell’esordio cinematografico di Stefano Sollima (regista di "Romanzo Criminale - La Serie") nonché del libro scritto da Carlo Bonini da cui la pellicola prende ispirazione, ed è anche la traduzione inglese della frase italiana “Tutti i Poliziotti Sono Bastardi”. Nonostante questa frase sia stata coniata negli anni ottanta da alcuni movimenti skinhead non propriamente affezionati alla categoria delle forze dell’ordine, si potrebbe dire che dopo aver visto le rappresentazioni dei poliziotti presenti nel film sarebbe assolutamente cosa difficile e contraddittoria riuscire ad affermare il contrario.
Cobra (Pierfrancesco Favino), Mazinga (Marco Giallini) e Negro (Filippo Nigro) sono tre celerini violenti ed esaltati, tutti a loro modo dipendenti dall’aggressività e dalla violenza: istinti che hanno da sempre condizionato le loro scelte e gravato pesantemente sulle loro vite. Il loro mestiere, seppur non tra i più semplici, appare tra le altre cose anche figlio dei loro ideali a sfondo fascista e consiste nel mantenere l’ordine pubblico quando questo risulta fortemente minacciato da alcuni gruppi di persone ostili alla divisa e in cerca di rivolte, mantenendo inoltre sempre fede alla leggera postilla che non permette nessuna possibilità di attacco se prima non si è fisicamente attaccati. In "ACAB" infatti non vuole esserci alcun messaggio positivo ma solo negatività, dolore e tanta, tanta violenza. Quella che nasce da un destino praticamente segnato dal momento in cui si compie una scelta e la stessa che è costretto a subire lo spettatore quando è trascinato inevitabilmente di fronte alle numerose scene di brutale violenza di cui il film più di una volta vuole farsi obbligo.
Quando inizi a far parte della celere questa deve diventare la tua famiglia, a tutti i costi, e come tale deve essere sempre rispettata e protetta. Il punto di vista più interessante della storia diventa allora quello di Adriano, interpretato dal giovane bravissimo Domenico Diele, reale protagonista della vicenda, novellino appena entrato nel gruppo e subito immerso in una realtà differente da quella immaginata prima di prendere parte al mestiere, una realtà in cui spesso la divisa anziché rappresentare l’onestà tende invece a prendere il sopravvento, e quando questo accade bisogna che la fratellanza di rito faccia il suo dovere e corra sempre in aiuto del fratello in pericolo. Ecco, probabilmente il lato migliore di “ACAB” è rappresentato proprio dal modo in cui racconta l’attaccamento e la fratellanza tra i tre colleghi Cobra, Mazinga e Negro, comunque insieme, sempre, nella buona e nella cattiva sorte. E non è un caso che messa in questo modo questa fratellanza risulti molto più simile a un vero e proprio matrimonio, perché in realtà tutti e tre non riescono a far funzionare alcuna relazione all’infuori della loro amicizia, che di conseguenza potrebbe benissimo rasentare i legami forti e intensi di una storia d’amore. Allo stesso tempo a fare da contraltare, la fatica di Adriano ad immettersi in un sistema crudele e disumano, in tante occasioni impossibile da mandare giù, e descritto in modo da far affiorare la figura del celerino in sé come un ruolo mai positivo, neppure lontanamente, ma soltanto aggrappato alla convenzionale scappatoia del: “è uno sporco lavoro ma qualcuno dovrà pur farlo”.
Tuttavia, il cedimento effettivo di “ACAB” avviene appena si tenta di approcciare ad altri delicati argomenti in maniera piuttosto debole e inconsistente. Come i riferimenti un po’ furbeschi e buttati a caso riguardanti alcuni importantissimi fatti di cronaca (il G8 di Genova, la Diaz, la morte di Raciti e quella di Gabriele Sandri) oppure le parentesi sullo scarso impegno della classe politica e sul problema degli extracomunitari nel nostro paese, dove la pellicola si va ad appoggiare in un paio di occasioni senza mai approfondire a dovere. Spunti che se avessero voluto trovare un loro spazio nella storia avrebbero dovuto avere una logica più stabile e precisa ma viceversa, gettate in maniera così poco ordinata, portano la pellicola solamente a sfilacciarsi e a perdere potenza e direzione.
Alla resa dei conti “ACAB” si rivela quindi un vero e proprio fuoco di paglia, soprattutto dopo le tante, inutili polemiche che negli ultimi giorni è riuscito a sollevare. E' più facile che questo film diventi uno di quei numerosi piccoli cult metropolitani amatissimi dagli adolescenti e da una determinata massa di giovani, a livello cinematografico però rimane solo un discreto tentativo di far emergere qualcosa di nuovo dallo scarso panorama italiano. Uno sforzo apprezzabile, forte e sicuramente coraggioso ma anche molto confuso e solo parzialmente riuscito.
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