Celerino, figlio di puttana. Non sto cercando di insultare nessuno. È solo che questa cantilena, questo coro da stadio, è la cosa che più rimane impressa in testa finita la visione di A.C.A.B.. Quando un film si fa ricordare solo, o quasi, per una cosa del genere, per un inno da ultras, fate voi se entrerà nella storia del cinema… A.C.A.B. prende il titolo in prestito da una canzone dei 4-Skins, gruppo di punk skinheads degli anni ’80, un inno più o meno nazi contro i poliziotti bastardi (anche in questo caso non sto cercando di insultare nessuno, lo dice la canzone e pure il titolo del film).
"Giocate tranquilli, Azzurri, ma se fate pena agli Europei ve famo un culo così!"
A.C.A.B. ha spezzato in due il pubblico e la critica, tra chi l’ha esaltato come grande novità per il cinema italiano, finalmente una pellicola coraggiosa e moderna, e chi l’ha bollato come una boiata assoluta, una visione stereotipata del corpo di polizia, uno pseudo documentario sulle forze dell’ordine o poco più. Questa volta mi tocca fare la Svizzera neutra della situazione, benché odi farlo, e tenderei a sminuire sia gli entusiasmi degli uni che le critiche feroci degli altri. Di nuovo, fondamentalmente, in questo film non c’è niente. Per il cinema italiano vecchio non come la politica italiana, ma quasi, capisco che possa anche apparire come qualcosa di moderno o quantomeno al passo coi tempi, però il confronto con ad esempio il ben più vitale cinema francese di oggi è impietoso. Polisse ad esempio parte da un assunto parecchio simile, quello di raccontare in maniera nuda e cruda, senza filtri né censure, la vita di un corpo di polizia. In quel caso l’Unità di Protezione dei minori di Parigi, in questo caso i celerini (figli di puttana) di Roma. Ma chi o cosa è un celerino (figlio di puttana)? Meglio chiedere a Wikipedia per una risposta precisa ed esauriente.“Celerino è il nome tradizionale degli agenti della Polizia di Stato impegnati nelle operazioni di ordine pubblico. Il nome deriva da "la Celere", ovvero l'insieme dei "Reparti Celeri" autotrasportati di Pubblica Sicurezza istituiti nell'immediato dopoguerra dal ministro Giuseppe Romita adibiti al pronto intervento (da cui il nome) di piazza. Oggi questo servizio viene svolto dai Reparti Mobili della Polizia di Stato.”
"Occhio, Cannibal, che se fai il furbo ce n'è anche per te!"
Se Polisse riesce a rendere a 360° non solo la vita professionale ma anche gli aspetti personali dei suoi vari protagonisti, lo stesso non si può dire di un ACAB che se la cava ancora ancora nel raccontare la dimensione lavorativa degli sbirri, ma fallisce ampiamente nell’offrire un vero spaccato sul piano personale. Ci sono un sacco di stereotipi, che non metto in dubbio siano anche veri, come le simpatie nazi-fasciste (ma This Is England era tutt'altra cosa), il tipo che si sposa con la cubana, l’altro tipo che cerca l’aiuto di un politico del PDL (cosa che probabilmente impedirà al film di passare mai su Mediaset), però è tutto raccontato in maniera superficiale. Anche gli stessi legami tra i celerini non sono poi così definiti. Si parla tanto di spirito di squadra e di attaccamento ai valori (quali?), ma il momento di unione maggiore è giusto quello di un episodio di nonnismo goliardico.Cercando invece tra gli aspetti positivi, i personaggi non prendono vita del tutto, è vero, eppure lasciano la voglia di scoprire qualcosa in più su di loro. Su tutti spicca soprattutto il celerino perennemente incazzato interpretato da Pierfrancesco Favino, attore che sto rivalutando negli ultimi tempi, ma anche gli altri non sarebbero poi così male, in bilico come sono tra l’essere dei veri inglorious basterds e il cercare di tirare avanti dignitosamente con le loro vite. Sono sbirri stile The Shield all’amatriciana che sfogano le proprie frustrazioni personali sul lavoro, eppure hanno anche qualche lampo di umanità e di senso della giustizia che in qualche distorto modo ogni tanto viene fuori. Personaggi certo non positivi eppure nemmeno del tutto negativi, personaggi quindi sfaccettati e vivi che avrebbero avuto solo bisogno di un maggior approfondimento.
Già pronto il sequel del film...
Il film di Sollima, tratto dall’omonimo libro del giornalista Carlo Bonini e l'approccio giornalistico se sente, non riesce a trovare una via del tutto sua. Tra tentazioni di un approccio documentaristico contrapposto a un approccio spettacolare, finisce per prendere una via spesso più videoclippara che cinematografica e soprattutto rischia in diversi punti di finire nel cronachistico, con troppi riferimenti all’attualità (ormai non più così attuale), dal caso Reggiani alla morte di Gabriele Sandri. Così come anche un’altra produzione italiana recente come Romanzo di una strage (Diaz invece devo ancora vederlo), non riesce a trasformare la cronaca in grande cinema, appiattendosi quando va male su stilemi ancora troppo vicini alle fiction nostrane, oppure quando va bene agli speciali di Mtv News, peraltro alcuni, come quello sui ragazzi terremotati di L’Aquila, più interessanti di questo ACAB.Pur con vari limiti e difetti e pur avendomi lasciato con una sensazione di ennesima occasione fallita per il cinema italiano, l'esordio di Sollima è comunque una visione che vale la pena di affrontare ed è in grado di fornire qualche spunto di riflessione. In più, una bella scena ce la regala pure, grazie al pogo liberatorio di Favino sulle note di “Police On My Back” dei Clash. Anche se la “canzone” che rimane impressa nella testa alla fine è un'altra… Celerino, figlio di puttana. (voto 5,5/10)