Accattone

Creato il 15 gennaio 2016 da Nehovistecose

Regia di Pier Paolo Pasolini

con Franco Citti (Vittorio Cataldi detto Accattone), Franca Pasut (Stella), Silvana Corsini (Maddalena), Paola Guidi (Ascenza), Adriana Asti (Amore), Adriano Mazzelli (il cliente), Francesco Orazi (il burino), Roberto Scaringella (Cartagine), Mario Cipriani (Balilla), Franco Marucci (Franco), Elsa Morante (una detenuta), Sergio Citti (il cameriere).

PAESE: Italia 1961
GENERE: Drammatico
DURATA: 116′

Periferia romana. Quando la prostituta che lo mantiene finisce in carcere per colpa sua, Vittorio Cataldi detto Accattone conosce la fame. Per amore di un’altra donna cerca di rigare dritto, ma alla fine sceglie la via – più semplice e meno faticosa – dell’illegalità: finirà ucciso durante una fuga.


Esordio cinematografico di Pasolini, ispirato alle sue opere letterarie. Film spietato, senza speranza, che attraverso il racconto della miseria e dello squallore dei sobborghi romani mette in luce l’inconsistenza della coscienza sottoproletaria italiana: Accattone non agisce per cambiare la propria condizione perché pensa che essa sia colpa degli altri. E in parte lo è, anche se non di quelli come lui e che lui incolpa: la sua condizione sociale non può cambiare perché è il prodotto dei poteri forti, e nessun innalzamento è dunque possibile. Per questo è un film verista, seppur in maniera diversa rispetto al verismo di Verga: il colpevole (o i colpevoli) ci sono, e la colpa non è affatto del destino e dell’ineluttabilità delle cose. Per questo il film fu censurato, ritirato (in tv passò nientemeno che nel 1975, anno della morte di P.) e osteggiato da quella stessa classe politica che il regista, velatamente ma implacabilmente, attaccava. Nonostante sia un’opera prima, rivela uno stile preciso che Pasolini amplierà nei lavori successivi: molti riferimenti pittorici, uno stile rigoroso e fortemente simbolico (i palazzi a far da sfondo alle baracche, apparentemente più dignitosi ma già anch’essi periferia; i primi piani alla Dreyer che sottolineano l’espressività dei volti per rivelare indirettamente gli sfondi; l’insistenza sulla plasticità del corpo umano rispetto al cemento), la volontà di NON fermarsi davanti a nulla pur di raccontare la verità (alcune scene, come il pestaggio di Maddalena, sono terribili ancora oggi).

Qualcuno parlò di “brandelli di neorealismo”, senza accorgersi che lo stile di Pasolini è spesso volutamente non realistico ma simbolico/surreale (si pensi alla sequenza del sogno, ma anche al fatto che i personaggi siano sempre inquadrati davanti a irreali cieli a tinta unita, senza nuvole, piatti e fasulli come le loro esistenze). Certo, gli attori presi dalla strada e l’uso di piano-sequenza e profondità di campo sono elementi tipici del neorealismo, ma Pasolini li utilizza per arrivare a conclusioni differenti. E poi il neorealismo raccontava gli ultimi, Pasolini racconta gli ultimissimi, quelli che addirittura faticano a riconoscere la pochezza della propria condizione. Lo fa usando un mezzo secondo lui borghese, che diventa “popolare” (costò appena 50 milioni di lire, e infatti molti lo definirono un B-movie) mantenendo espressività ma raccontando chi non era stato raccontato mai (e che, secondo alcuni, era irraccontabile). Produce Alfredo Bini, dopo il rifiuto di Federico Fellini che preferì estraniarsi da un progetto così rischioso e sperimentale. Magnifica fotografia di Tonino Delli Colli e perfetta la scelta delle arie di Bach tratte da La passione secondo Matteo, così malinconiche e ovattate da sottolineare anche a livello sonoro che tutto è già scritto. L’aiuto regista era Bernardo Bertolucci. Film di rara crudezza che ha ancora molto da insegnare.



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