Acciughe e bagnetto.

Creato il 27 ottobre 2012 da Enricobo2

Il tempo uggioso e le probabilità che si scateni la tempesta meteorologica perfetta (ormai i previsori si dovranno pure parare il c*** considerata la galera prevista per le previsioni sbagliate), giusto in tempo per il 21 dicembre, Maya docent, mi spingono lontano nel tempo, quello cosiddetto felice, alla rimembranza dei gusti dell'infanzia, per permettere anche a me di sparare un po' di banalità in coincidenza con la kermesse marketinghettara di Terra madre. Nelle mie estati di ragazzo a Valle San Bartolomeo, c'era un rito abbastanza frequente per riempire i lunghi pomeriggi assolati, resi più pesanti dall'afa che arrivava dalla bassa. Inforcate le biciclette ci si spingeva lungo la salitella della Falamera, fino ad arrivare ad una cascinotta riadattata ad osteria che stava assonnata alla base del Bricco dell'Olio. Mai saputo la motivazione di questo nome, non vorrei che fosse Bricco dal Loglio, ma non credo, dato che in dialetto locale suonava Bric d'oli. Qui c'era una fantastica pergola di vite americana, dalle foglie fittissime che ricoprivano non solo la parte superiore, ma che la saggezza del proprietario aveva fatto correre lungo tutta la parete esposta a sud, impedendo ai raggi feroci di penetrare quell'opera mirabile di arte topiaria, (curiosamente il nostro dialetto definisce questi pergolati come topie). 

dal web


Ci stravaccavamo stanchi sulle sedie di ferro, all'ombra fresca, occupando ogni tavolo, che al pomeriggio era deserto di clienti. Quelli che mi sembravano vecchissimi 50/60enni venivano più tardi a bersi un bicchiere di vino, mentre solo dopocena si aveva il vero affollamento per lo spettacolo televisivo offerto al popolo in quei tardi anni '50, solo da alcuni locali pubblici. Il parterre era dunque completamente in nostra balia e lì potevamo passare anche l'intero pomeriggio. Il fatto è che come in ogni locale pubblico, bisognava consumare e qui veniva a galla l'apoteosi dell'osteria di campagna, il panino con le acciughe e bagnetto. Non so se la carta prevedesse anche qualche cosa di altro, non certo più sofisticato, ma quella era l'unica scelta che facevamo sempre. I panini erano grandi e rotondi, col piccolo bozzo in testa e gli spicchi che scendevano ai lati. La più comune pezzatura di queste parti detta vianeisa, forse un lascito lombardo-veneto; benché piemontesi infatti, la nostra natura di abitanti del confine, ci ha sempre spinto verso il milanese. 
Chissà come, me li ricordo freschi e croccanti quei grandi panini, anche se eravamo verso la metà del pomeriggio. Tagliatili in due, l'oste astuto (tale Pidrinu, che però non aveva niente a che fare con la Sardegna), li riempiva generosamente di quell'impasto aggressivo e sapidissimo (al fine di invogliare al consumo abbondante di bevande) costituito dalle acciughe intere lasciate a macerare per giorni in uno spesso bagnetto di prezzemolo, aglio e olio, fino a che i sapori si amalgamassero completamente in una sinfonia di cui potevi apprezzare appieno la complessità pur senza riconoscerne il suono isolato dei singoli strumenti. Una poesia di sapori che non facevano caso al fatto che le gocce di unto potessero macchiare i pantaloncini corti. Alle ciabattate punitive ci si sarebbe pensato dopo, al ritorno a casa. In quel momento potevi solo godere di quell'effondersi morbido e salato nella bocca ancora bambina e non usa ai sapori ricercati ed esotici. Oltre al sapore, poi, anche la sete indotta ti rimaneva fino a sera. Il ricordo è nitido, il gusto ineguagliato anche, non mi è più chiara invece la possibilità tecnica del fatto in sé. Non riesco infatti a focalizzare il mistero di come mi ritrovassi i soldi necessari, dato che a quel tempo nessuno usciva di casa con una, se pur minima dotazione monetaria. L'unica spiegazione è che fosse prevista una merenda da acquistare o al negozio tuttofare della piazza o appunto alla Villetta. 

dal web


Il panino, mi sembra costasse o 70 o forse 100 lire (chissà se qualche compagno di allora mi sa aiutare), come la moneta che serviva per suonare 3 canzoni nel rutilante jukebox che faceva mostra di sé sul fondo. Le ragazzine propendevano ovviamente per quello, per me non ci fu mai scelta, neanche mi passava per la mente; sarà stato proprio questo il motivo per cui non avevo alcuna speranza presso l'altra metà del cielo. Certo, ero tra i più piccoli e meno interessanti del gruppo, ma anche le potenti zaffate di aglio che rimanevano come danni collaterali, non aiutavano di sicuro, ma pazienza ci sarebbe stato un altro tempo. A qualcuno poi rimanevano anche i soldi per le canzoni, i più grandi ovviamente, che poi agguantavano le ragazzine bramose di ballare la bamba e il rock. La Villetta la chiusero qualche tempo dopo; sembra che alla sera tardi, dopo che il monoscopio della TV, un vecchio mobilone in legno di radica, veniva spento e gli anziani se ne erano andati a casa, circolassero delle "ragazze" piuttosto spigliate che non avevo capito bene cosa facessero in giro a quell'ora. Ma certe case erano state appena chiuse per legge e in qualche modo bisognava pur fare.
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