«Siamo davvero capaci di “accogliere” gli altri? E poi: qual è il significato profondo – sia sul piano psicologico sia su quello spirituale – della parola “accoglienza”? Alcune risposte sorprendenti a queste domande mi sono venute nel viaggio che ho appena compiuto in Panjab, uno Stato dell’India settentrionale abitato in maggioranza dai Sikh. Ad ogni gurdvara (tempio sikh) è annessa una grande cucina comunitaria, chiamata langar. Chiunque di noi si presenti in un tempio sikh è invitato a entrare nel langar, sedersi a terra su una stuoia accanto agli altri e mangiare in compagnia. Può anche fermarsi a dormire se vuole. E tutto ciò gratuitamente. Sta alla sensibilità di ciascuno fare o meno un’offerta per ringraziare dell’ospitalità.
I Sikh si comportano così perché, dicono, “Dio accoglie tutti”, e poiché in ciascuno di noi c’è una scintilla divina accogliendo una persona – a prescindere dall’etnia, dal credo religioso, dalla casta – si onora Dio. L’ospitalità e l’accoglienza sono, letteralmente, sacre.
Tutto questo si fa ancora più evidente nei grandi templi delle città sante dei Sikh – Amritsar e Anandpur Sahib – dove le cucine sono capaci di sfamare decine di migliaia di persone al giorno grazie al lavoro di migliaia di volontari che, dopo il lavoro o la scuola, vanno a cucinare e a lavare i piatti per sfamare sconosciuti come me. Gratuitamente.
In uno di questi templi mi è capitata giorni fa una cosa che mi ha commosso: un anziano sikh – che non avevo mai visto prima – mi ha guardato e mi ha abbracciato, poi si è portato la mia mano alla fronte, come a benedirmi. Ero palesemente uno straniero eppure lui mi ha accolto nella sua comunità con un abbraccio che non aveva bisogno di parole.
In Italia vivono e lavorano ormai circa 70mila Sikh, e in questi anni sono sorti nel nostro Paese una ventina di gurdvara, i cui langar sono aperti a noi. Provate ad entrarci e vedrete come ci accolgono. E noi, siamo capaci di accogliere loro?». MR