Acidissima con il Flash Mob. 90.000 ore sprecate per 5 minuti di inutilità.

Creato il 12 novembre 2012 da Unarosaverde

Metti che vivi a Roma centro e ti ci vogliono venti minuti ad andare e venti a tornare, via metro o tram, per arrivare a Piazza del Popolo. Oppure te ne stai in periferia e, tra una cosa e l’altra, passano un paio d’ore per raggiungere il luogo dell’appuntamento. Oppure ancora  sei di fuori e prendi  treno,  auto o  pullman ed ecco che quattro o cinque ore se ne vanno negli spostamenti.

Chiediamo aiuto al pollo e facciamo la media a sua maniera: possiamo dire che tre ore a persona per trentamila persone, così dicono i giornali, sono state impiegate per trovarsi in tempo a Piazza del Popolo, accendere i cellulari, ballicchiare tutti in gruppo per cinque minuti sulle notarelle di una musichetta che tra un anno nessuno ricorderà più e poi tornarsene a casa?

Novantamila ore uomo.

Novantamila ore uomo buttate alle ortiche per una cosa della quale io non riesco, neppure sforzandomi, a trovare il senso. Che cosa significa  un balletto di trentamila persone che non si conoscono neppure tra loro, che non hanno niente da chiedere né da esprimere, che sono lì solo perché è di moda? Che cosa lascia?

Non lo so. Il significato di questi raduni supera la mia capacità intellettiva e si perde lontano lontano nei luoghi a me inintelligibili, dove riposano fuori dalla mia comprensione, tra gli altri, i barattoli di alluminio che contengono merda d’artista, le trasmissioni della De Filippi, i libri delle sfumature, la zumba, le bambine di cinque anni con lo smalto alle unghie e il gnè-gnè nella voce, i bambini di dieci con in tasca il cellulare e cinquanta euro, le donne con le labbra rifatte e quelle con il piercing sull’avambraccio, gli uomini che riempiono gli spazi col potere dei soldi perché altri modi non conoscono.

Novantamila ore uomo svanite nel nulla.

Sapete cosa ci si potrebbe fare con novantamila ore uomo? Tantissimo, a seconda dei gusti.

Per esempio andarsene a passeggiare in un luogo lontano dalle vetrine dove ci sia la spiaggia, il lago, un fiume, quattro alberi o la pista ciclabile del paese che si perde tra campi di nulla. Oppure chiamare un amico che da molto si vorrebbe risentire ma non si trova mai il tempo per farlo, leggere un libro, ascoltare musica dal vivo, imparare qualcosa. Oppure dare una mano ad una persona sola e non del tutto autosufficiente a fare la spesa, dormire, giocare con un bambino, fumarsi in santissima pace una sigaretta, darsi un’occhiata dentro a rimirare le nostre parti belle e provare a sistemare quelle ammaccate, visitare un museo. Fare i conti e scoprire perché i soldi non bastano mai,  lavare l’auto di casa, fare qualcosa per i propri genitori, stare in silenzio, infilare la testa in un ricovero per anziani per quattro parole con chi aspetta che il mondo arrivi da lui perché al mondo non riesce più ad arrivare da solo, cucinare per sé o per gli altri qualcosa di buono. Oppure ancora fare l’amore, dipingere, sfogliare un fumetto, riordinare un cassetto, leggere un blog, portare a spasso il cane, farsi un giro in bicicletta, costruire qualcosa. Oppure proprio niente, ozio totale. Lo capirei, lo condividerei, ci troverei un significato all’ozio totale. Ogni tanto è sublime, l’ozio totale.

Novantamila ore di vita in cui si potrebbero aggiustare tante, tantissime cose.

Novantamila ore di vita immolate sull’altare del Gangnam Style.

E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.

Constantinos Kavafis


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