Percorrevo a piedi le strade all’ombra dei palazzi dalle pesanti architetture barocche, grigie e gialle, tutta la città era grigia e gialla e ocra ed era fatta di stretti vicoli e angoli incerti e retri dei cortili pieni di polvere. Ma quel giorno ogni cosa appariva smagliante per la pioggia. I contorni delle fontane e dei parapetti in pietra si stagliavano nitidi e lucidi apparivano i ciottoli quadrati: la pioggia cadeva fitta e lavava ogni piccolo canale, ogni interstizio, ogni angolo buio, mentre la luce del cielo bianco di nuvole e luminoso si rifletteva e si specchiava su ogni superficie.
E in mezzo scorreva il fiume, ampio e maestoso, già molto alto. Mi affacciavo al parapetto e notavo le acque salire di livello sempre di più, agitate da piccole onde; acque scure e forse fredde che si alzavano in fretta nascondendo le file di pietre. Mi accorsi presto che non sarei più riuscita a raggiungere la mia meta, a casa mi avrebbero atteso per un tempo indeterminato. Improvviso e inopportuno, un tafferuglio tra uomini mi distrasse e mi costrinse a nascondermi in un androne, perchè in verità si trattava di una vera e propria sparatoria: le pallottole volavano a tagliare l’aria già affilata dalla frescura. Con me altri si ripararono nell’androne. Preoccupati ci affacciavamo sulla strada e le pallottole sfrecciavano quasi sfiorandoci.
Ma ormai l’acqua aveva superato il bordo e sommergeva la riva. Le piccole increspature della superficie divennero una grande liscia e placida onda che varcava l’argine e copriva il piano stradale, i bordi del parapetto e s’infilava inesorabile tra i palazzi. Forse non sarebbe cresciuta ancora molto, ma lo era già abbastanza da avvolgere il terreno calpestato dai passi di chi fuggiva e si riparava in zone più alte. Faceva paura, ma non avrebbe ucciso. Era dolce. Avrebbe avvolto, bagnato, intriso persino le pietre. Ogni cosa sarebbe rimasta al suo posto, ma lavata, abbaracciata da quell’acqua scura e buona.
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