Le olive che hai lasciato maturare in acqua sono diventate buone: ogni volta che ne mangio una sento la tua risata potente contro il mio viso tirato, la tua mano ruvida di vita che mi smonta, tenera di maternità assoluta. Facendo spazio nell’armadio, ancora mezzo pieno, ho incontrato il tuo odore, incastrato nelle cuciture del cappotto con cui andavi a messa la domenica, curata e aggiustata per far piacere al tuo uomo innamorato da sempre, felici, per sempre. So che non si torna e non tornerai, non tornerete, troppo lontani per raggiungervi ora, spinti in un mondo che ancora non so, mano nella mano nell’oscurità dell’inimmaginabile. Le foto che vi ritraggono e ricordano non mi bastano più, immagini di due istanti fra miliardi, troppo lente per raccontare il calore di un abbraccio e la lunghezza di un movimento tra una stanza e l’altra della casa, tra un angolo e l’altro della mia solitudine, per nulla adeguate alla ricchezza di affetti vissuta e perduta. Oggi è una bella giornata, anche se fa un po’ freddo. Mi piacerebbe invitarvi a cena e cucinare per voi, farvi leggere le pagine del mio piccolo libro e dirvi che sono felice, nonostante il dolore che ha deciso di scortarmi nel viaggio che faccio, affinché nessuna illusione possa più farmi male. Prenderò il microfono per chiamarvi più forte, rappando sempre come se fosse l’ultima volta, l’ultimo party, l’ultimo desiderio, l’ultima volta che amo, l’ultimo saluto prima di un lancio nel vuoto che prima temevo e ora sfido. E da questa inesauribile e insensata raccolta di racconti vi saluto, miei cari. Stasera c’è musica e vado a prepararmi. Non potrò che spaccare.