Acqua in bottiglia, acqua del rubinetto, disinformazione, marketing.

Creato il 10 luglio 2013 da Greeno @greeno_com
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In collaborazione con

Master in Green Management

Fondazione ISTUD – Milano

 

La pubblicità ci mostra che gli sportivi bevono un particolare tipo di acqua, poi si sente parlare di acqua che ti depura, che fa stare meglio, bottiglie colorate o in pratiche versioni da portare in borsa. Le varie acque in bottiglia hanno caratteristiche diverse: poco sodio, residuo fisso bassissimo o elevatissimo ed è spesso su tutte queste proprietà che gioca il marketing per convincere il consumatore a comprare questa o quella marca. Non c’è particolare motivo per preferire l’acqua in bottiglia all’acqua potabile della rete idrica di casa.

La propensione al consumo di acqua in bottiglia può esser data dal fatto che la gente pensa che ci sia qualcosa che non va nell’acqua del rubinetto, perché è a buon mercato e ne abbiamo a disposizione quantità abbondante. Se analizziamo dal punto di vista della sicurezza e del prezzo è di gran lunga migliore rispetto a quella confezionata, che può essere manomessa e contaminata facilmente durante il suo lungo ciclo di vita.

Nonostante il consumo di acqua di casa sia molto più comodo rispetto all’acquisto di pesanti confezioni al supermercato , nonostante l’acqua del rubinetto sia più sicura e sottoposta a maggiori controlli e nonostante il risparmio economico rispetto l’acquisto di una bottiglia di minerale; in Italia ancora troppi cittadini non si fidano a bere l’acqua del rubinetto: un italiano su tre.

Secondo i dati Istat riguardo l’approvvigionamento e i consumi di acqua a uso potabile delle famiglie Italiane, emerge una diffidenza elevata a bere acqua del rubinetto: il 30% delle famiglie dichiara di non fidarsi a berla ( in Sicilia il 60,1% e Calabria il 47,7%). Il 61,8% delle famiglie ha acquistato acqua minerale in bottiglia, anche se i dati di acquisto risultano in calo rispetto agli anni precedenti. La spesa media mensile delle famiglie per l’acquisto di acqua minerale si attesta, nel 2010, a 19,50 euro senza che si evidenzino significative differenze territoriali: una spesa di poco inferiore a quella sostenuta per il servizio di acqua potabile nelle abitazioni.

I dati relativi al consumo nazionale di acqua in bottiglia nel 2008, vedevano gli italiani acquistare 12,5 miliardi di litri, 194 litri all’anno a testa, che pone il nostro paese in cima ai Paesi europei per consumi di acqua in bottiglia e al terzo nella classifica mondiale, dopo Emirati Arabi (260 litri all’anno a persona) e Messico (205).

Dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente, 12,5 miliardi di litri di acqua in bottiglia hanno comportato l’uso di circa 365 mila tonnellate di PET, un consumo di 693 mila tonnellate di petrolio e l’emissione di 950 mila tonnellate di CO2 equivalente in atmosfera.

Solo il 35% degli imballaggi in plastica sono raccolti in modo differenziato e avviati al riciclaggio: il restante 65% finisce in discarica o al recupero energetico. Infine, solo il 18% delle bottiglie di acqua minerale viaggia su ferro, il restante 82% viaggia su gomma, con conseguente consumo di gasolio e produzione di CO2 e polveri sottili.

Il prelievo nazionale di acqua a uso potabile (dati riferiti al 2008) ammonta a 9,11 miliardi di metri cubi di acqua, di cui l’85,6% proveniente da acque sotterranee, il 14,3% da acque superficiali e il restante 0,1% da acque marine o salmastre. Nel 2008 il volume pro capite di acqua, corrispondente a 72,9 metri cubi all’anno per abitante (pari a 199,7 litri per abitante al giorno), è diminuito del 9,2% rispetto al 1999. La contrazione è imputabile sia alla variazione nel sistema di contabilizzazione, oggi più legato ai consumi reali direttamente misurati dai contatori, sia a una leggera riduzione dei consumi e, come conseguenza, degli sprechi idrici degli utenti finali.

Un fattore che potrebbe incidere nella scelta dell’ acqua potabile è la frequenza di erogazione: nel 2011 il 9,3% dei nuclei familiari lamenta irregolarità nell’erogazione di acqua. La problematica dell’irregolarità di erogazione è evidente nel Sud Italia (17,4%), in particolare in Calabria (31,7%) e Sicilia (27,3%).

Nel consumo di acqua gli italiani si sono dimostrati particolarmente virtuosi: nel primo decennio Duemila il consumo delle risorse idriche nel nostro Paese è diminuito del 20%, tanto che oggi l’uso domestico, misurato su 116 capoluoghi, si attesta a 66,7 metri cubi.3 L’analisi prende in esame anche il corretto funzionamento e la gestione della rete fognaria e di distribuzione, la depurazione delle acque e i fabbisogni idrici. I maggiori consumi si registrano a Monza, Roma, Milano, Catania, Bergamo, Messina e Torino. Le città che hanno consumato meno sono Arezzo, Andria, Foggia, Prato, Forlì, Reggio Emilia e Brindisi. La più alta riduzione dei consumi si registra a Potenza (circa – 36%), Torino (- 29%), Piacenza, Novara, Genova, Parma e Napoli. I comuni in controtendenza sono invece Messina, Sassari, Reggio Calabria e Palermo. La tendenza registrata verso un uso più razionale della risorsa idrica è sintomo che inizia a farsi strada la consapevolezza che abbiamo a che fare con una risorsa limitata.

La ricerca di Legambiente e Altraeconomia (Acque in bottiglia, un’imbarazzante storia all’italiana. Regioni inadempienti, impatti ambientali per tutti, profitti esagerati per pochi. Marzo 2013) fornisce alcuni numeri sul settore delle acque imbottigliate: un giro d’affari pari a 2,25 miliardi di euro che riguarda 168 società per 304 diverse marche commerciali; l’uso di oltre 6 miliardi di bottiglie di plastica prodotte utilizzando 456 mila tonnellate di petrolio, che determinano l’immissione in atmosfera di oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2. Dentro una bottiglia d’acqua c’è un vero e proprio business. L’abitudine italiana, di preferire l’acqua in bottiglia a quella del rubinetto, innesca un meccanismo economico che porta immensi guadagni alle aziende imbottigliatrici e un’enorme consumo di risorse per il Paese, oltre ad alti livelli di inquinamento indotto.

L’Italia si conferma infatti come grande consumatore di acqua in bottiglia. Nel 2011 i consumi di acqua sono aumentati rispetto all’anno precedente, passando da 186 a 188 litri per abitante all’anno, numeri che confermano il primato europeo del nostro paese per i consumi di acque minerali: dei 12,350 miliardi di litri imbottigliati nel solo 2011, oltre 11,320 miliardi sono stati consumati dentro i confini nazionali.

L’acqua minerale in bottiglia proviene da una sorgente di per sé pura e protetta, sgorga possedendo delle caratteristiche naturali di qualità. Viene successivamente imbottigliata da aziende private in vetro o plastica, trasportata in tutta Italia per l’80% su camion, per poi essere venduta negli scaffali di negozi, supermercati o distributori automatici. Per legge quest’acqua viene controllata una volta all’anno dalle stesse aziende imbottigliatrici, che inviano al Ministero della Salute una autocertificazione. L’acqua minerale subisce pochi trattamenti, oltre all’aggiunta di anidride carbonica per renderla frizzante, oppure può essere trattata con aria arricchita di ozono per separare alcuni composti come ferro, manganese, zolfo e l’ arsenico.

L’acqua del rubinetto ha origini di vario tipo, può essere prelevata direttamente da una fonte e avere già buone qualità naturali, oppure in alcuni casi necessita di trattamenti che ne migliorino le caratteristiche chimico-fisiche o la rendano più sicura per la salute umana. Tutte le acque del rubinetto vengono sottoposte a disinfezione per proteggerle durante il tragitto nelle tubature fino alle nostre case. La legge italiana prevede un minimo di quattro analisi all’anno, numero che varia in base al volume di acqua distribuito ogni giorno e alle caratteristiche dell’acquedotto. Le analisi sono svolte sia dalla società che gestisce l’acquedotto che dalle Asl di competenza, quindi da due soggetti indipendenti tra loro, che svolgono analisi su 67 parametri, più di quelli previsti per le acque in bottiglia. In poche parole, l’acqua cosiddetta “del rubinetto” che arriva nelle nostre case, non ha niente da invidiare a quella in bottiglia dal punto di vista della qualità, e anzi è maggiormente controllata di quella che compriamo al supermercato. Il suo costo dipende dal gestore, ma l’ordine di grandezza è fino a mille volte di meno rispetto all’acqua in bottiglia. Nonostante il basso costo e la facilità di approvvigionamento, molto spesso però non ci fidiamo a berla, magari perché il sapore non è proprio gradevole; il più delle volte dovuto al cloro usato per la disinfezione, in tal caso, basta lasciarla arieggiare nella brocca prima di consumarla e il gusto migliora.

È importante garantire la qualità dell’acqua fino al contatore, ciò dipende dalla società di gestione del servizio idrico, dopo di che la responsabilità è del padrone di casa o del condominio che deve garantire che le tubature finali siano in buono stato in modo da non alterare la qualità dell’acqua. In caso contrario è necessario intervenire con sistemi di filtrazione domestici.

Se possiamo scegliere l’acqua in bottiglia in base alla sua composizione, non possiamo fare lo stesso per l’acqua del rubinetto; possiamo però conoscere i risultati delle analisi, che la maggior parte degli acquedotti pubblicano su internet o comunicano attraverso la stampa locale.
Nella scelta di acquisto di una bottiglia invece che riempire una brocca, non scordiamoci di pensare anche al contenitore e al suo impatto ambientale.

Oltre alle attività di prelievo, trasporto e imbottigliamento bisogna aggiungere l’energia e le risorse per produrre le bottiglie, nella stragrande maggioranza di plastica, il carburante consumato e l’anidride carbonica emessa per il trasporto dalla azienda ai punti vendita.
Una volta effettuato l’acquisto bisogna considerare il nostro trasporto dal supermercato a casa, e la fine del ciclo di vita di una bottiglia di plastica se non viene smaltita correttamente. A confronto, l’acqua del rubinetto è a impatto ambientale zero.


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