L’Alternativa da oggi collabora con l’esperto di Diritto, avvocato Francesco Cisternino, al quale chiederemo, di volta in volta, di analizzare le questioni che più stanno a cuore agli italiani. Questa volta, sotto la sua lente di ingrandimento è passato il disegno di legge sulla ripubblicizzazione dell’Acqua in Puglia. Ecco cosa ci ha detto in prima battuta.
Con il DdL 8 del 2010 varato nello scorso mese di maggio la giunta Vendola ha presentato il suo progetto di riforma del sistema dei Servizi Idrici regionali.
Dopo averne fatto uno dei punti caratterizzanti il programma sia nelle elezioni del 2005, sia nella tornata elettorale dello scorso aprile, la riforma dei servizi idrici pugliesi si concretizza finalmente in un testo normativo. Un’attenta analisi di questo primo testo, ora in esame nelle Commissioni consiliari competenti della Regione Puglia, è sicuramente utile per comprendere se e fino a che punto siano stati davvero centrati gli obiettivi di riportare la gestione dei servizi idrici pugliesi al pubblico in maniera trasparente, efficiente e partecipata.
Questi, infatti, sono gli obiettivi che lo stesso DdL indica come primari nella relazione illustrativa che lo accompagna.
Innanzitutto è apprezzabile che all’art. 5 si preveda la trasformazione della Acquedotto Pugliese S.p.a. in un soggetto giuridico pubblico senza scopi di lucro. Pure positivo è che in altre norme del testo vengano previsti strumenti di controllo e di rappresentanza anche alle colletività locali direttamente interessate al servizio, nonchè alle associazioni dei consumatori ed agli stessi dipendenti della AQP.
Va inoltre accolta con favore l’introduzione del principio per cui a tutti i cittadini pugliesi sarà riconosciuto il diritto ad una fornitura minima garantita di acqua ad uso domestico a spese delle finanze regionali.
Se queste rappresentano innovazioni interessanti e condivisibili rispetto al sistema previgente, sotto altri aspetti il DdL risulta carente rispetto a quelli che ne sono gli obiettivi.
Lo studio del settore dei servizi idrici italiani dimostra che in questo, come in generale nel settore dei servizi pubblici, uno dei principali problemi è quello di garantire una reale separazione ed autonomia fra le istituzioni politiche locali e gli ambiti dirigenziali delle aziende investite della gestione dei servizi stessi. La pratica di utilizzare le vecchie società municipalizzate o in generale gli enti pubblici gestori di un servizio come serbatoi clientelari e piccoli “feudi” da affidare a gente fidata, piuttosto che realmente competente, costituisce infatti una delle più solide e dannose tradizioni del nostro sistema Paese.
Il ruolo delle istituzioni locali rispetto ai soggetti incaricati di fornire un servizio pubblico dovrebbe essere quello di fornirne gli indirizzi e controllarne i risultati ed è ovvio che, per raggiungere questo obiettivo, si deve prima passare per una reale e totale separazione fra funzioni e soggetti incaricati di controllare e funzioni e soggetti incaricati di gestire.
Ebbene il DdL di riforma dei servizi idrici pugliesi, sotto questo punto di vista, risulta gravemente carente.
Viene infatti previsto che il presidente, il vice-presidente ed altri tre membri del CdA del nuovo soggetto pubblico AQP siano direttamente nominati dal Presidente della Regione Puglia e dalla sua Giunta e che solo da questi possano essere dimissionati o sostituiti.
Inoltre, altri tre membri del CdA saranno emanazione della assemblea dei Sindaci dei Comuni interessati al servizio, che però eleggeranno tali rappresentanti in forza di un meccanismo di voto che prevede che ogni sindaco rappresenti tanti voti per quanti sono i residenti del proprio Comune.
Buona parte del CdA del nuovo AQP ed il suo presidente, quindi, sarebbero di nomina direttamente politica, ovvero dei rappresentanti istituzionali solo dei Comuni più grandi, con buona pace delle istanze di reale partecipazione allargata alle scelte gestionali che in via di principio dovrebbero animare la riforma.
La stessa partecipazione diretta delle comunità locali e delle associazioni dei consumatori poi, seppur affermata in via generale, risulta nel Ddl del tutto fumosa.
L’art. 6 si limita a prevedere l’istituzione di organi di rappresentanza dei cittadini e dei consumatori, da regolare con un apposito regolamento tutto ancora da fare, stabilendo che agli stessi si dovrà riconoscere una generica potestà di osservazione e proposta rispetto agli atti di governance aziendali. É inoltre prevista l’istituzione di un consiglio di sorveglianza aperto anche ad associazioni ambientaliste e rappresentanti dei comuni e comitati di cittadini, senza però dir nulla circa le reali funzioni di tale ulteriore organo.
Su tali punti ci si sarebbe potuti aspettare delle scelte più coraggiose ed incisive da un governo regionale che, come quello Vendola, ha fatto del tema Acqua una delle sue bandiere. La speranza è che il testo possa uscire anche su questo migliorato dal vaglio del Consiglio Regionale, per evitare che l’unica innovazione reale dell’AQP rispetto al passato sia in fin dei conti quella nominalistica da società per azioni a società pubblica. Ma col Gattopardo non si fanno le rivoluzioni. Nemmeno quelle gentili.
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