Ad Est – Poeti polacchi tradotti da Paolo Statuti – Julian Tuwim

Creato il 21 ottobre 2012 da Wsf

Ah! Le mie poesie sorprendenti!
Ah! La mia vita, che sarà?

Julian Tuwim

Vi invitiamo ad Est, in un breve ciclo dedicato alla poesia polacca, grazie al preziosissimo lavoro di traduzione di Paolo Statuti, che da anni lavora sulla traslazione nella nostra lingua della poesia polacca. Statuti, romano di nascita, da molti anni vive a Varsavia. Poeta e prosatore, nel 1990  ha ricevuto il premio annuale dell’Associazione di Cultura Europea – sezione Polacca, per meriti conseguiti nella divulgazione della cultura polacca in Italia. 

Ad Est. “Noi siamo rinvigoriti da quello che sta succedendo all’Est” rispondeva Seamus Heaney ad una domanda sul richiamo alla memoria culturale europea. Un linguaggio che oggi conta molto sui lavori più tradotti, della Szymoborska o di Milosz, la cui diffusione si è ampliata anche grazie al riconoscimento del Nobel. Alle spalle, il lavoro degli avamposti poetici, dei luoghi culla del contemporaneo, dove   cultura polacca ha sciolto i  nodi tradizionalistici e ha sperimentato nuove libertà espressive, dalla nascita dello Skamander di Julian Tuwim in poi.  Tuwim oltre i termini del passato, è il punto nuovo dove far convergere altri artisti che sentono la necessità creativa dell’oggi.  ”Infatti, nel manifesto di Skamander – scrive Paolo Statuti -  si diceva tra l’altro: “Crediamo profondamente nell’oggi di cui tutti ci sentiamo figli…Vogliamo essere i poeti di oggi, in ciò è la nostra fede, il nostro programma…” Facevano parte di questo movimento anche Lechoń, Wierzyński, Słonimski e Iwaszkiewicz, e ad esso si deve la rinascita della poesia polacca dopo l’indipendenza riconquistata nel 1918. Tuwim ne divenne il rappresentante di maggior spicco.

Così il poeta Adam Ważyk descrive l’impressione destata allora dalle opere di Tuwim: “Nei crocchi della gioventù studentesca da poco rinata alla libertà si rumoreggiava, ci si agitava. Gli anziani chiedevano se quella era poesia o non piuttosto impertinenza. I suoi versi – come una ventata d’aria fresca – spazzavano via le anticaglie simboliste. Ci si spogliò dei costumi per uscire vestiti in abiti qualunque, si finì di riposare in “giacigli”, e d’ora in poi si dormì e ci si ammalò semplicemente a letto, e i poveretti che non l’avevano – in terra. Il mondo reale entrò nella poesia, con i suoi veri dolori, le vere gioie, le vere tristezze”.

Effettivamente Tuwim portò per la prima volta nella poesia, su vasta scala, la vita delle grandi città moderne, con i loro contrasti sociali e i loro abitanti, l’atmosfera triste e sonnolenta delle cittadine di provincia, che la letteratura nobiliare aveva finora ignorato.

Attaccando e deridendo la capitalistica caccia al denaro e la grettezza piccolo borghese, Tuwim descrive contemporaneamente il semplice uomo qualunque della periferia, delle botteghe, delle officine, mostrando solidarietà con il destino degli umiliati e degli sfruttati. A nuovi temi corrispondono nella creazione di Tuwim nuovi mezzi di espressione, primo fra tutti – la lingua, che egli studiò profondamente e spesso creò, giungendo a impadronirsi di ogni sfumatura del polacco antico e moderno. Pochi poeti hanno saputo unire all’immagine quella intraducibile magia della parola, per la quale egli paragonò l’opera sua a quella di un alchimista o di uno stregone.

Julian Tuwim tradotto da Paolo Statuti

Suum cuique

A chi il lustro lontano,

A chi il sole italiano,

E ancora altri portenti,

A me un tavolino,

La birra dopo il vino

E il lesso sotto i denti.

A chi le sinfonie,

Louvre e filarmonie,

Città da capogiro,

A me una cantina,

Una vodka vicina,

Uno sguardo e un sospiro.

La pioggia grigia abbraccia

Gli steccati e l’erbaccia.

La strada è una fiumana.

Tempaccio ormai spossato!

Scambiarti non è dato

Solitudine umana!

1929

E fu così…

E fu così: nell’atra notte

Da un ramo sbucò un fiore in boccio.

All’alba s’aprì con gli uccelli;

Sospirai. Era il primo approccio.

Quasi un’ora divenne un fiore,

Dormivegliando pigramente.

Lo tolsero dal nido vischioso

Gli uccelli con fruscìo crescente.

Quasi un’ora mise le piume,

Cercando tinte nel giardino.

Lo tolse al soffice calice

Il venticello del mattino.

Guarda come per te lottano,

Riunendosi in suoni iridati:

Gli uccelli sempre più teneri,

I fiori sempre più odorati!

In due meraviglie un creatore

Te senza nome ha ripartito,

E sotto ti trema turbato

Il ramo che t’ha partorito.

Dunque chi? Dunque come? Il fiore?

L’uccello? Tace la natura;

Nel cuore del mondo strarìpa

Del viver la folle paura.

Allor lo colsi dal rametto –

Dell’albero il primogenito:

Emana un aroma assai dolce,

Canta versi con un gemito.

1936

Venticello

Sulle acque trepidi fatti:

Soffia un venticello.

Sulle acque un grande silenzio.

Sono solo.

Di nuovo non vivo, di nuovo non so

Cosa avviene,

Immobile, assorto,

Resto.

Così è già stato. Ansia e speranza

Che conosco da tempo.

Qualcosa succederà sulle acque.

La forza trema.

Così è già stato – prima dell’enorme

Primo giorno.

Sugli abissi un volto appare.

Soffia un venticello.

L’eternità torna come sogno

Non tutto sognato.

Non sapevo come ho iniziato la mia storia.

Adesso so.

Dal poema: “Fiori polacchi”

O fiume, che fedele nei tuoi flutti

Le stelle di Varsavia ripetevi

E ogni alba e ogni tramonto,

Come si ripete un bel racconto

(Scorrendo e tremando – di tanto in tanto

Per l’emozione la voce si spezza

Come luce nell’acqua d’un torrente,

Ma con più leggiadria, con più dolcezza

Si svolge allora assieme al pianto),

Oh, fiume, che a memoria sapevi

Del cielo gli immensi azzurri poemi

E strofe di nuvole prese a caso ,

E dell’Iliade le inquiete saghe,

E la Bibbia dello spazio stellato –

Finché, grigia cantante, ti è toccato

Infiammarti con la tua capitale

E ululare, quando l’ululo udisti

Di Varsavia, città-Giobbe polacca!

Quando su di te il soffitto s’è schiantato,

Scorrevi nei bagliori vermigli

Con la stessa imperturbata corrente,

Scorrevi orgogliosa e liberamente,

E le case della città, come torce,

Ma rivolte all’ingiù funereamente,

Ti percorrevano in rosso corteo…

Torneremo, o Vistola, per quel rosso,

Fedelmente riposto sul tuo fondo,

Porteremo un turbine, di sdegno armato,

E un nuovo mattino, con fede vibrante…

Quel turbine – leverà la nostra mano,

Un bagliore, un grido, una strofa e il sangue!

Litania

Ti prego, mio Dio, con fervore,

Ti prego, mio Dio, con tutto il cuore:

Per quelli che sono umiliati,

Per quelli che sperano tremando,

Per l’eterno addio dei morti,

Per la stanchezza dei moribondi,

Per la tristezza dei non compresi,

Per quelli che supplicano invano,

Per quelli derisi, per gli offesi,

Per gli stolti, i gretti e i malvagi,

Per quelli che corrono affannati

Al più vicino ambulatorio,

Per quelli che dalla grande città

Tornano a casa col batticuore,

Per quelli rozzamente trattati,

Per quelli fischiati a teatro,

Per i noiosi, i brutti, gli inetti,

I deboli, i percossi, gli oppressi,

Per quelli senza un sonno sereno,

Per quelli che temono la morte,

Per quelli che aspettano in farmacia

E per quelli che hanno perso il treno,

- PER TUTTI GLI ABITANTI DEL MONDO,

Per i loro guai e i loro affanni,

Le sofferenze, i crucci, i pensieri,

Per le loro ansie e dolori,

Sfortune, nostalgie, dispiaceri,

Per ogni più piccolo palpito,

Che non sia felicità e gioia,

E che essa in eterno a questa gente

Illumini la via benevolmente –

Ti prego, mio Dio, con fervore,

Ti prego, mio dio, con tutto il cuore!

(C) by Paolo Statuti

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