Addio a Sir George Henry Martin (Londra, 3 gennaio 1926 – 8 marzo 2016), produttore discografico e compositore britannico.
È morto ieri, 8 marzo 2016, sir George Martin: una delle personalità più poliedriche del mondo artistico contemporaneo. Oltre a essere musicista di formazione classico/barocca, è stato anche compositore, arrangiatore, produttore discografico, attore, sceneggiatore e scrittore; ma nel mondo è famoso per il contributo determinante che diede alla musica del più celebre quartetto rock di tutti i tempi (soprattutto in termini di arrangiamenti orchestrali) e che gli valse l’appellativo di «quinto Beatle». Stiamo parlando dell’uomo che – come manager della EMI – mise sotto contratto i quattro ragazzi di Liverpool che avevano appena incassato un rifiuto dalla Decca.
A darne la notizia della scomparsa è stato proprio Ringo Starr su Twitter: "Dio benedica George", ha scritto. "Che riposi in pace, con amore a Judy e alla sua famiglia, Ringo e Barbara". Anche Paul McCartney ha ricordato George Martin in un Tweet, definendolo come un secondo padre. "Il mondo ha perso un uomo davvero grande", ha scritto Paul.
Nel libro (arricchito da una bella prefazione di Stefano Bollani e ben tradotto da Paolo Somigli, direttore del mensile “Chitarre”) George Martin racconta la storia dei Beatles concentrandosi soprattutto in quella estate (siamo, appunto, nel 1967) che diede la luce a “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”: un album che avrebbe venduto più di 32 milioni di copie, travolgendo e scompaginando il concetto stesso di realizzazione artistica nell’industria musicale. Per dare un’idea dell’influenza che questo disco esercitò anche nei decenni che seguirono, basti pensare che nel novembre 2003 la celebre rivista musicale “Rolling Stone” decise di stilare un elenco dei 500 migliori album di tutti i tempi; per farlo, coinvolse una giuria composta da 273 importanti musicisti, critici, storici e persone dell’industria musicale. Inutile precisare che fu proprio “Sgt. Pepper” ad aggiudicarsi la prima posizione tra i 1600 titoli votati in totale.
«Fu allora, in quel 1967», scrive George Martin, «che i Beatles capirono di avere realmente la possibilità di fare tutto quello che volevano. Lavoravano intensamente sulle loro canzoni, sperimentando cose che non si erano ancora mai sentite, spingendosi sempre oltre il limite. (…) E così, questo è il racconto di un anno straordinario della nostra storia, un anno diverso da tutti gli altri che l’hanno seguito o preceduto. Ma, cosa probabilmente ancora più importante, è anche la storia della realizzazione di un album unico, quello che ha rivoluzionato il modo con cui, da allora, sarebbe stato concepito ogni altro disco».
Per ricordare George Martin segnalo questo articolo pubblicato su Rolling Stone , quest'altro su Repubblica... e propongo qui di seguito (in questo spazio di Letteratitudine dedicato al rapporto tra "Letteratura e musica") l’introduzione del volume poc'anzi citato firmata dallo stesso Martin.
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Quando incontrai i Beatles per la prima volta, nel 1962, pensai che la loro musica non fosse un granché: mi sembrava troppo elementare e ritenevo le loro canzoni di scarso spessore. D’altra parte mi resi immediatamente conto che quei ragazzi avevano un enorme carisma, emanavano un fascino istintivo del quale a quanto pareva non erano affatto consapevoli. Ognuno aveva qualcosa di particolare. Erano diversi da qualsiasi altro gruppo che avessi mai incontrato. Erano divertenti, sfrontati senza mai essere volgari; insomma, non si poteva fare a meno di farseli piacere.
A me piacquero moltissimo, e quindi pensai: “Così come sono piaciuti a me, piaceranno anche al pubblico, se soltanto riuscirò a trovare una canzone adatta…”. Fu sull’onda di quella sensazione a pelle che li scritturai per la Parlophone, l’etichetta della emi che dirigevo. Tutti noi sappiamo com’è andata poi a finire, e ovviamente quella decisione cambiò radicalmente sia la mia vita che la loro.
Oggi, a mezzo secolo di distanza, i Beatles sono conosciuti in ogni angolo del mondo. Sono diventati le icone della loro generazione, il simbolo dell’ingegno e della creatività britannici.
I giovani di tutto il mondo scoprirono che non erano più costretti ad uniformarsi allo stile di vita dei propri genitori. Il Flower Power indicava la strada da seguire, e tutti scoprirono che era possibile scrollarsi di dosso gli ultimi rigurgiti dell’epoca vittoriana, piena di bacchettoni e di ipocrisie sessuali. La terribile minaccia dell’Aids era ancora di là da venire. Ma a dire la verità, personalmente di tutto questo non mi accorsi minimamente: ero troppo indaffarato.
Per me il 1967 fu un anno di lavoro, di duro lavoro, ma pieno di soddisfazioni incredibili. Un anno di gioia, un anno di tristezze, un anno che non dimenticherò mai. Persi mio padre, che morì appena finito Pepper. Persi un grande amico, Brian Epstein, che morì troppo giovane e lasciò i Beatles senza una guida. In compenso io e mia moglie avemmo una bella bambina, Lucie, la nostra primogenita, indubbiamente una figlia dell’Estate dell’Amore.
Fu allora, in quel 1967, che i Beatles capirono di avere realmente la possibilità di fare tutto quello che volevano. Lavoravano intensamente sulle loro canzoni, sperimentando cose che non si erano ancora mai sentite, spingendosi sempre oltre il limite. Tutti i miei dubbi iniziali svanirono, man mano che le loro canzoni diventavano sempre più complesse e mature, senza che i Beatles perdessero mai l’amore dei propri fans.
E così, questo è il racconto di un anno straordinario della nostra storia, un anno diverso da tutti gli altri che l’hanno seguito o preceduto. Ma, cosa probabilmente ancora più importante, è anche la storia della realizzazione di un album unico, quello che ha rivoluzionato il modo con cui, da allora, sarebbe stato concepito ogni altro disco.
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