Ettore Scola (ansa)
Il mondo del cinema piange la scomparsa dell’ultimo maestro della commedia all’italiana, lo sceneggiatore, regista e produttore cinematografico Ettore Scola (Trevico, Avellino, 1931), morto ieri, martedì 19 gennaio, a Roma, un autore che attraverso le sue opere ha saputo narrare la storia del nostro paese con attente annotazioni storiche, sociologiche e politiche delineate grazie a sceneggiature particolarmente cesellate (spesso scritte in collaborazione con Ruggero Maccari e il duo Age & Scarpelli) e ad una regia attenta tanto all’aspetto visivo quanto ad offrire il giusto risalto alle interpretazioni degli attori. I film di Scola sono sempre stati caratterizzati da un ampio respiro cinematografico, capace di travalicare gli italici confini, come testimoniano gli importanti riconoscimenti ottenuti anche all’estero, in virtù appunto della suddetta felice combinazione fra un attento lavoro di scrittura ed un afflato visivo il più delle volte improntato alla libera espressione della sintassi cinematografica:penso agli splendidi, elegiaci, intarsi temporali di C’eravamo tanto amati (1974, Premio César come miglior film straniero, fra gli altri riconoscimenti), sottolineati dalle musiche di Armando Trovajoli, con un memorabile e simbolico passaggio dal bianco e nero al colore, ma anche a Ballando ballando (Le bal, 1983), che attraversa quasi 50 anni di storia francese avvalendosi del solo apporto combinato di musica, costumi e scenografie, senza dialoghi.
Scola iniziò a lavorare giovanissimo come vignettista presso la rivista satirica Marc’Aurelio, vera e propria palestra per molti futuri autori e registi del nostro cinema, collaborando, a partire dagli anni ’40, a varie trasmissione radiofoniche, prima di dedicarsi totalmente al mondo della Settima Arte, collaborando a molte sceneggiature (la prima accreditata fu per Amori di mezzo secolo, 1952, Domenico Paolella e poi via via si possono ricordare i suoi interventi in film quali Un americano a Roma, 1954, Steno; La Grande Guerra, 1959, Mario Monicelli o le molteplici sfumature psicologiche offerte dagli intensi ritratti femminili dei film di Antonio Pietrangeli) prima di esordire alla regia nel 1964 con Se permettete parliamo di donne, pellicola ad episodi che asseconda la propulsione istrionica volta al “leggero” di Vittorio Gassman. Ma la vena più propriamente autoriale di Scola, dopo una serie di realizzazioni comunque valide che vedono ancora Gassman ideale interprete (La congiuntura, 1965; L’arcidiavolo, 1966), la si rinviene con Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (il cui plot trae ispirazione dalla storia a fumetti Topolino e il Pippotarzan, Romano Scarpa, Topolino 158-159), sferzante satira sui “felici malesseri” di una vuota società consumistica, che ottenne un grande successo di pubblico.
Prende così il via una serie di commedie dove i sempre presenti toni ironici trovano diverse variabili, volgendo ora verso un certo malinconico disincanto (i vizi privati e le pubbliche virtù di una florida cittadina veneta ne Il commissario Pepe, 1969, interpretato da un ottimo Tognazzi) ora assecondando una caratterizzazione grottesca e “popolare” (Dramma della gelosia: tutti i particolari in cronaca, con l’indimenticabile triangolo Mastroianni- Vitti- Giannini, quest’ultimo nel suo primo ruolo di rilievo) che troverà un’ ulteriore evoluzione, spietata ed iperrealista nella sua esibita sgradevolezza di ambienti, personaggi e situazioni, dagli evidenti richiami pasoliniani, in Brutti, sporchi e cattivi, 1976, Premio per la miglior regia al 29mo Festival di Cannes. La filmografia di Scola appare pregna sia di commedie, idonee ad analizzare, descrivere e rendere oggetto di sapida satira una situazione umana propria di individui alle prese con le disillusioni arrecate dai continui cambiamenti sociali, politici e culturali (con la speranza di cambiare il mondo che ha lasciato posto al prevalere di quest’ultimo sulle singole individualità), sia di opere in cui prevalgono toni intimistici e delicati tratteggi psicologici.
E’ il caso a tale riguardo, “pescando” fra i vari titoli per non ridurre il ricordo ad una mera elencazione di opere, di Una giornata particolare, storia di una tenera amicizia fra una casalinga romana (Sophia Loren) e un radiocronista (Marcello Mastroianni) che avranno modo di confrontare i loro comuni destini di persone umiliate e sopraffatte dagli eventi all’interno della storica data del 6 maggio 1938, giorno della visita di Adolf Hitler a Roma, o de La terrazza, da molti considerato il canto del cigno della commedia all’italiana propriamente detta, caustico ritratto di certa intellighenzia del bel mondo culturale e dello spettacolo, pateticamente convinta di essere sempre dalla parte del giusto, ricordando poi suggestive storie d’amicizia (Maccheroni, 1985, con Jack Lemmon a fianco di Mastroianni) o volte a descrivere un tormentato rapporto padre-figlio (Che ora è?, 1989, con l’inedita coppia Mastroianni- Troisi). Un punto d’incontro tra i due differenti approcci alla narrazione filmica la si può rinvenire nel citato C’eravamo tanto amati e soprattutto ne La famiglia, dove i “salti” temporali dal 1906 al 1986 creano una perfetta simbiosi fra eventi storici, quotidianità borghese (il corridoio in penombra come luogo di memoria e transito delle varie generazioni) e le mutazioni del costume sociale.
Riguardo la produzione più recente di Scola, pur ravvisandone la consueta e coerente lucidità nel sezionare il malcostume di un’Italia che non gli andava a genio, sembra che il regista, al pari di altri autori dello stesso filone, volesse prendere le distanze da una società orfana di tutti i valori positivi, preferendo semplicemente descriverla e visualizzarla, acuendo però i toni che diventano sempre più amari, sottolineati da un cinismo più aspro del solito unito ad un umorismo beffardo, cavalcando la farsa e il grottesco con maggiore enfasi (Romanzo di un giovane povero, 1995); dopo due titoli con i quali aveva dichiarato di voler dare l’addio al cinema (La cena, 1998; Concorrenza sleale, 2001), Scola diresse alcuni documentari, regalandoci in tale forma il suo ultimo film, Che strano chiamarsi Federico, 2013, scritto insieme alle figlie Paola e Silvia, un ritratto di Fellini basato sui propri ricordi, a partire dall’incontro presso la redazione de L’Aurelio. Alle figlie di Scola si deve infine il documentario Ridendo e scherzando, che percorre vita e carriera del loro genitore, condensando nel titolo quanto il papà ha messo in atto nel mondo del cinema, ovvero riuscire attraverso un sorriso, a volte amaro, altre sarcastico, a narrare un personale punto di vista su quell’umana commedia che, pur mutando tempi, consuetudini e protagonisti, non smetterà mai di essere quotidianamente rappresentata.