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Addio Carla Verbano, se n’è andata senza potere guardare in faccia chi uccise suo figlio Valerio

Creato il 05 giugno 2012 da Stenazzi

Carla Verbano aveva 56 anni la mattina in cui suonarono alla sua porta, nel quartiere Montesacro, a Roma. Guardò dallo spioncino, erano tre ragazzi, dissero «Siamo amici di Valerio». Lei aprì, i tre nel frattempo si erano calati il passamontagna: entrarono in casa, legarono Carla e Sardo, suo marito, e li fecero sdraiare sul letto. Poi aspettarono. Valerio tornò a casa, posteggiò la Vespa 50 e salì. Carla e Sardo sentirono rumori di cose che si rompevano, poi uno sparo, uno solo. Arrivò un vicino di casa, liberò Carla e Sardo: corsero nell’altra stanza, Valerio era riverso sul divano, disse «mamma aiuto, aiutami mamma», e basta. Gli avevano sparato alla nuca. Valerio aveva 18 anni, era uno di sinistra, militante dell’autonomia operaia, frequentava un istituto romano, l’Archimede. Morì, giustiziato a casa sua, il 22 febbraio 1980. Ora è morta anche sua mamma, Carla. Sardo se n’era andato tempo fa. Per 32 anni Carla ha inseguito la verità e la giustizia: è arrivata a toccarla, quasi a guardarla negli occhi. Era una tenace, non si arrendeva.

Dopo quella mattina d febbraio vennero fatti gli identikitcon l’aiuto di chi aveva visto gli assassini uscire dal portone: erano anche loro giovanissimi, come Valerio. Una rivendicazione arrivò dai Nar, quelli di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, fascisti diociottenni  che in quegli anni misero a ferro e fuoco Roma e non solo. Carla Verbano di politica non sapeva nulla, non aveva capito nulla di quegli anni. Iniziò a scavare, a cercare di capire, incontrò amici e poliziotti. Ha raccontato tutto in un libro, “Sia folgorante la fine”, uscito due anni fa. Ha detto Carla Verbano: «L’inizio deve essere folgorante, Carla, mi dicono quelli ai quali parlo del libro. Capirai, folgorante, alla mia età. Io come inizio ho scelto la cosa più innocua che ci sia, un sogno. Perché quando mi sveglio, ogni mattina da trent’anni, voglio tutt’altro: sia folgorante la fine, di questa storia». La storia della morte di Valerio Verbano è anche la storia  di una città, Roma, che in quegli anni era divisa,  piena di confini, di qua zona nera di là zona rossa. Le botte ma anche i colpi di pistola, gli omicidi a freddo. Le imprese del gruppo di Fioravanti e Mambro, con Giorgio Vale, Alesandro Alibrandi, Stefano Soderini, Gilberto Cavallini. Luigi Ciavardini. Gente che uccise a freddo, come davanti al liceo classico Giulio Cesare, quando spararono a Franco Evangelista, il poliziotto che chiamavano Serpico. O come quando uccisero un magistrato, Mario Amato, il 23 giugno 1980. Amato era l’unico che a Roma indagava sui neri. Da solo, per una mole enorme di delitti. Lavorava nello stesso palazzo del giudice Antonio Alibrandi, papà di Alessandro, l’assassino amico di Giusva Fioravanti. Amato faceva arrestare Alessandro, il padre lo liberava. Alla fine Amato fu ucciso. Era solo, senza scorta, senza macchina blindata.

Carla Verbano era convinta di sapere chi aveva ucciso suo figlio. Militanti fascisti, questo sapeva.  Sapeva anche che una cosa è la verità storica e un’altra è quella giudiziaria. Negli ultimi due anni i magistrati che hanno riaperto il caso hanno lavorato attorno ad alcuni nomi, gente insospettabile oggi, allora giovanissimi “neri” che ruotavano intorno ai gruppi di fuoco. Già allora si erano fatti molti nomi. Valerio non era un angioletto, era figlio di quegli anni: partecipava a scontri, anche duri, con i fascisti. Aveva un archivio con tanti nomi di camerati della zona  di Montesacro. Si parlò di Nanni De Angelis, giovanissimo militante di Terza Posizione, il gruppo fondato da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Peppe Dimitri. Si disse che De Angelis era stato colpito da Verbano durante uno scontro tra rossi e neri. Nanni, accompagnato dal padre, andò a casa Verbano. Entrò nella stanza dovr Valerio era stato ammazzato.Disse: «Signora, io non c’entro nulla con la morte di suo figlio».

Anche Nanni De Angelis fece una brutta fine, pochi mesi dopo. Venne arrestato il 4 ottobre del 1980 mentre era in compagnia di Luigi Ciavardini, indicato come l’assassino del poliziotto Serpico. Al momento dell’arresto ci fu una colluttazione violenta, De Angelis era un ragazzone alto e grosso, giocatore di football americano. Venne ricoverato in ospedale poi subito dimesso e chiuso in isolamento a Rebibbia. Lo trovarono impiccato con un lenzuolo il 5 ottobre. In tanti non hanno mai creduto alla versione ufficiale. Furono in molti, in quegli anni, a passare da Terza Posizione ai Nar: avvenne, per i i gruppi fascisti, lo stesso travaso che era avvenuto dall’altra parte tra autonomia operaia e gruppi terroristici.

Un altro omicidio, commesso a Milano nel marzo 1978, quello di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, è simile a quello di Valerio Verbano. Spararono a Fausto e Iaio davanti al Leoncavallo. Fascisti, ma rimasti senza un nome. Carla Verbano pensava che potesse essere stata la stessa gente. Che gli assassini di Fausto e Iaio siano venuti da Roma.C’è un’altra cosa che racconta Carla Verbano nel suo libro. Un giorno incontrò Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Aveva cercato lei quell’incontro. Di chi aveva ucciso suo figlio, Giusva Fioravanti disse di non sapere nulla. «Ma ha mentito», dice Carla, «io lo so che ha mentito. Mentì anche quando disse di son sapere nulla dell’omicidio Amato. E invece poi si seppe che era stato lui a pedinare il magistrato, a dare tutte le indicazioni».

Ogni tanto qualcuno imbratta la lapide che ricorda Valerio Verbano a Roma. La mamma, Carla, viveva qualche piano sopra quella targa. Lei lo diceva: «Invece di imbrattare quella targa e scappare, venite, guardatemi negli occhi». Nessuno è mai salito e lei non ha mai potuto guardare di nuovo in faccia chi ammazzò suo figlio come un cane, mentre lei era legata in una stanza e lo sentiva urlare.


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