Domenica scorsa ho fatto una passeggiata con mio figlio Paolo fino a Castel Roncolo. Da casa mia dista solo qualche minuto a piedi. Abbiamo attraversato il cosiddetto Dorf fino a raggiungere il ponte che congiunge via Sant’Antonio con via Rafenstein, siamo scesi verso il sentiero che costeggia il torrente Talvera e quindi siamo saliti al castello. Tornando, abbiamo letto insieme uno dei cartelli che spiega un po’ il contesto storico utile a capire l’edificio. Il cartello parlava dell’epoca medievale, del ruolo della nobiltà, e di come poi, durante il periodo successivo, la borghesia cittadina attestasse la sua preminenza sulla scena del mondo. A mio figlio, che ha cominciato quest’anno a studiare il latino, ho raccontato che tale passaggio storico coincideva anche con quello dell’affermazione delle cosiddette lingue “volgari”, cioè parlate dal “popolo”, sul latino, da allora destinato infatti a perdere di importanza (seppur più lentamente di quanto si possa pensare, ho aggiunto, e conservando una certa aura di prestigio). Cercando di sostenere e di lodare quello che lui adesso sta facendo, gli ho detto anche che continuare a studiare il latino in un’epoca in cui sono rimasti in pochi a farlo, significa non perdere il contatto con quel mondo lontano e, insomma, vuol dire trattenerlo ancora un po’ qui con noi. Lui, giustamente, mi ha chiesto se questo tentativo fosse condannato a fallire e se, con ciò, avremmo anche perduto definitivamente la possibilità di capire il passato che attraverso quella lingua riesce, seppur flebilmente, ancora a parlarci. Io allora gli ho detto che forse, in futuro, ci sarebbero state persino più persone di oggi capaci di riannodare quei fili spezzati, e che comunque il significato di quello che stava facendo studiando il latino era proprio questo: preservare, restaurare e rendere agibile l’esile ponte tra passato e futuro. Una lingua “morta”, gli ho detto, non è mai veramente “morta” se c’è qualcuno che ancora la studia, la legge, la comprende. E così neppure il passato è mai veramente completamente “passato”. In questo senso, ho concluso, possiamo dire che noi siamo responsabili della tradizione perché, letteralmente, ne rispondiamo. Tradire viene da “tradere”, che significa consegnare. Il passato ci viene consegnato, anzi è qualcosa che si consegna a noi, e quindi siamo noi a decidere cosa farne, se voltargli le spalle, dimenticandolo, o tendergli la mano, per non farlo sfuggire.