Talvolta la città assomiglia a un foglio ripiegato, ne percorriamo le strade che conosciamo per abitudine, che non ci sorprendono più, perché servono soltanto a portarci dove siamo costretti e quindi rassegnati ad andare. Una volta create, le pieghe di questi percorsi abitudinari ci tengono prigionieri, diventano solchi, assomigliano a rughe, e quasi mai approfittiamo della possibilità di scartare di lato, magari allungando il cammino o riscoprendo il piacere di perderci, di rendere la “nostra” città, anche se non è poi la nostra, qualcosa di beneficamente “straniero”, anche se in fondo siamo noi, gli stranieri.
L’altro giorno, però, ho scoperto una strada che non avevo mai visto, della quale non sospettavo neppure l’esistenza (ma non è un merito particolare, io qui abito da poco, quindi quello che mi è capitato non deve essere sopravvalutato). Risalivo in bicicletta una via che mi piace molto – via Orazio – e a un certo punto, in corrispondenza della curva a gomito che la sospinge verso Piazza della Vittoria, ho intravisto un vicolo dall’imboccatura molto stretta: vicolo Muri o, in tedesco, Tuchbleichgasse (che mentalmente ho cercato subito maldestramente di tradurre: vicolo dei panni pallidi). Ecco una magnifica occasione per scartare di lato, mi sono detto, intuendo che comunque quel vicolo mi avrebbe portato nella stessa direzione in cui volevo andare. L’ho percorso incantato dalla sua appartata bellezza, come se mi stessi concedendo un viaggio fuori dal tempo, e mi sono ricordato di una via che a me piaceva molto prendere di notte, quando abitavo nella mia città d’origine, cioè Livorno; una via anch’essa ricavata al margine di una piega abitudinaria, posta in uno spazio periferico poi chiuso successivamente dalla crescita della città, ma sempre in grado di raccontare l’epoca in cui la città proprio lì finiva, e cominciavano le ville, i campi, un altro mondo*.
Anche in via Muri ho provato le stesse sensazioni, benché non fosse notte, ma al contrario un pomeriggio assolato di fine settembre. Alla fine del vicolo sono sbucato poi in via San Quirino, esattamente davanti all’osteria “da Picchio”. Allora mi sono girato nuovamente per guardare il vicolo controluce, e ringraziarlo.
* Si tratta di via dell’Ambrogiana