Pellicola presentata a Cannes 67, Adieu au langage è un esperimento dal risultato dubbio e porta a chiedersi cosa volesse trasmettere al pubblico l'ottantaquattrenne Jean-Luc Godard. Provocazione o riflessione sul linguaggio cinematografico? La domanda resta e la risposta latita.
Tempo fa il critico cinematografico di Cinematografo Gianluca Arnone commentava in questo modo la pellicola di Godard: "se dovessimo fare un'esegesi appropriata di Adieu au langage, probabilmente dovremmo tirare delle linee a casaccio su una pagina bianca [...], forse che il suo ultimo film, pretende di essere qualcosa di diverso di uno scarabocchio sotto forma di immagini?". E non si può non essere più che d'accordo con il concetto espresso. Difatti Adieu au langage è un film che difficilmente può essere definito, compreso fino in fondo e giudicato. Due capitoli (la natura e la metafora) contraddistinguono la pellicola, ma non riescono a definirla. Nel mezzo un vago abbozzo di una storia d'amore (dapprima passionale, successivamente in disfacimento), stralci filosofici e una messinscena che gioca con le luci (una costante saturazione di colori che rende la realtà estremamente finta) e con le inquadrature (oblique, con il punto di vista ribaltato).
Godard in Adieu au langage azzera il linguaggio, lo estremizza e lo riduce a canale disturbato e costantemente interrotto; il regista muove qualche invettiva eppure si ha l'impressione che il tutto sia un gioco ridondante, estenuante e snervante. Adieu au langage è un esercizio di stile fine a se stesso, quasi come se l'innovatore regista (è il creatore della nouvelle vague) voglia dimostrare a tutti di poter fare qualsiasi cosa, di potersi spingere oltre la costruzione filmica e distruggerla dall'interno pezzo dopo pezzo. Tuttavia questa presa di posizione nei confronti di un cinema meno lineare e più astratto ( Adieu au langage si avvicina molto più al cinema arte che non a quello narrativo) appare come una provocazione priva di fondamento, un'operazione rischiosa che produce più detrattori che estimatori.
Alla base di Adieu au langage c'è chiaramente una riflessione, un pensiero che ha mosso la mano del regista transalpino, una domanda sulla funzionalità del linguaggio cinematografico. Eppure tutto ciò fatica a passare e si incaglia immediatamente in una messinscena psichedelica e priva di una compattezza. Infatti brandelli di frasi e di immagini si stagliano sullo schermo senza ammaliare o permettere la comprensione. E tutto ciò è un vero peccato.
Uscita al cinema: 20 novembre 2014 Voto: **