I motivi risiedono sostanzialmente in un linguaggio - appunto - che solo per pochi potrà avere senso e piacere, poiché composto volontariamente da un susseguirsi di immagini e di sequenze, agganciate con incoerenza e montate lontano da ogni logica conosciuta. Ma è esattamente a quella logica e a quella coerenza che Godard intende lanciare la sua denuncia, manifestando il disappunto nei confronti di un cinema che secondo lui ha perduto valore, appiattendosi e scaricando gran parte dei suoi doveri etici come morali. E il metodo migliore per evidenziare ciò, "Adieu Au Langage" lo trova non puntando il dito contro qualcuno o qualcosa, ma prendendo atto della situazione e agendo poi di conseguenza.
Si fa beffe del pubblico, infatti, Godard, accompagnandolo in un esperienza mistica dal quale uscirà vivo, ma contemporaneamente frastornato, dove la trama è rinnegata o al massimo ridotta a piccoli stralci dedicati a una coppia in crisi e al loro cane domestico, unico punto di riferimento nel mare di un anarchia complessiva e ricercata. La stessa che invade persino lo spazio dedicato alla stereoscopia, che oltre a ingrandire ancora di più i segnali di una rabbia palese, infastidisce volontariamente con immagini che tendono spesso a confondere lo spettatore, mostrando dettagli non visibili ad entrambi gli occhi, ma solo a uno dei due, provocando così un senso di malessere visivo che inizialmente rischia d'essere attribuito al malfunzionamento degli occhiali o del proiettore.
Perché dall'alto dei suoi oltre ottanta anni di vita vissuta, e dell'importanza di un nome che ha dato molto al cinema francese e totale, Jean-Luc Godard ha ancora voglia di dire la sua, di farsi sentire, di dimostrare al suo pubblico, e non solo, di sentirsi ancora un ribelle vivo e acceso, in piena lotta, perciò, per la rivendicazione dei suoi ideali e delle sue passioni.Due forze, quelle, a cui dire addio è pressoché impossibile.
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