Sapevo che sarebbe successo, prima o poi. D'altronde aveva 87 anni ed era malato da tempo. Eppure, quando ieri sera ha iniziato a rimbalzare la notizia della morte di Gabriel García Márquez, ho subito un piccolo shock. E ho pianto anche un po', devo ammetterlo. Sembrerà stupido, e forse effettivamente lo è, ma le emozioni sono difficili da controllare. Lo so, non lo conoscevo di persona, non era un mio parente né lo avevo mai incontrato di persona. Però nel mondo della letteratura e dei libri, posso dire che Gabriel García Márquez è l'autore che ha svolto il ruolo più importante, che ha determinato molte mie scelte e credo anche parte del mio modo di essere.
Ve ne ho già parlato più e più volte, di cosa ha significato Gabo per me. Del ruolo che ha avuto nella mia vita e di come tutto è cominciato.
Ho letto Cent'anni di solitudine quasi per obbligo, dopo anni di insistenze di mio padre, che continuava a dirmi "leggilo, leggilo, leggilo" e poi, una volta riuscito a convincermi, a dirmi "te l'avevo detto! Te l'avevo detto! Te l'avevo detto!"Da quella volta, ho letto quello che da tutti viene considerato il capolavoro di Márquez almeno quattro volte: in italiano all'inizio, e in spagnolo poi, una volta imparata la lingua. Ma ho letto tre o quattro volte L'amore ai tempi del colera, un paio Cronache di una morte annunciata. E poi il meraviglioso Dell'amore e di altri demoni, i racconti raccolti in La storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata. Ora che ci penso bene credo di averli letti tutti. Anche quelli più recenti, forse un po' meno amati, Le memorie delle mie puttane tristi e Diatriba d'amore contro un uomo seduto. Ho conosciuto il suo ultimo traduttore, il grande Morino, che se ne andato già qualche anno fa, e insieme a lui ho scoperto ancora più a fondo i suoi romanzi. Ho scoperto ad esempio come la sua produzione sia cambiata una volta vinto il Nobel, come si sia forse un po' europeizzato, trasformandosi quasi in autore di bestseller da supermercato. Eppure, tutti i suoi romanzi sono dei grandi romanzi.
Ma tutto è ovviamente cominciato da lì, da Cent'anni di solitudine e dal suo realismo magico. Da Macondo, il paese dei Buendía, di Melquiades il gitano, di Fernanda e Ursula, il paese dove amore, morte, passione, gioia e dolore sono possibili. Dove tutto è possibile. Anche volar via portandosi via le lenzuola buone, come fa il mio personaggio preferito in assoluto, Remedios la bella.
E' la prima volta che mi succede di essere così triste, di stare male, per la morte di uno scrittore. Eppure, vedendo i messaggi di commozione e di commemorazione di ieri e di oggi sui social network e sui giornali, mi rendo conto che forse poi così strana non sono. Che forse sono in tanti a stare male per lui e per la sua scomparsa (non prendo neanche in considerazione quelli che invece condividono frasi a caso, spesso anche sbagliate... fa parte di quello strano gioco che inizia quando un personaggio famoso muore). E credo che questo affetto, questi ricordi collettivi dimostrino fin dove i libri possono arrivare. Cosa possono fare le parole, quanto possono influenzarci, quanto possono cambiarci. Perché alla fine, io Márquez lo conoscevo davvero. L'ho conosciuto dai suoi romanzi, dalle sue parole, dalle sue storie e dai fantastici personaggi che si è inventato. E quelli, quelli non scompariranno mai.
Caro Gabo, può darsi che ovunque tu sia incontrerai mio padre, che ti dirà che ce l'aveva fatta, che aveva ragione, che me l'aveva detto. Ringrazialo ancora da parte mia, per essere riuscito a convincermi.Buon viaggio Gabo, e grazie davvero di tutto.