Dicono sul Corriere di adottare una parola e lo pensavi oggi nella metro, affastellando pensieri tra le pareti cerebrali quasi fossero corpi estranei, mentre finisci sempre col delibare di pensieri altrui, che loro, i pensieri degli altri, non ti trascinano in diatribe irrisolvibili né però ti lasciano emaciato, sono invece da scoprire, con leziosità, tra il cruccio di un sopracciglio ed il sorriso regalato ad un finestrino, propinando personaggi che non appartengono che a quell'intorno, la metro spesso uggiosa, mentre con perseveranza ti perdi in fronzoli calligrafici d'espressioni di passaggio, presagendo umori scomposti nella fuggevolezza di quell'equilibrio, lì, tra una fermata e l'altra, fra la fandonia di chi dirime uno sguardo incrociato e l'improntitudine di chi lo cerca, per un interesse sconclusionato, nella superbia narcisistica di carpirne dettagli magari stantii ma che poi lusingano, inevitabilmente, nei pensieri degli altri, senza lasciare mai contriti all'ultimo passo, quello della tua fermata ed il ritorno ai pensieri di partenza, i tuoi.