Adriana Gloria Marigo su un libro di Riccardo Raimondo

Da Narcyso
7 maggio 2014

TEORIA DEL PIRATA di Riccardo Raimondo SAMUELE EDITORE, 2013

di Adriana Gloria Marigo

Tra due sostantivi intrinsecamente non prossimi, discretamente contraddittori – teoria, pirata – si situa la rotta di Teoria del pirata, silloge che Riccardo Raimondo ha pubblicato per i tipi di Samuele Editore, 2013. Ma è in questa realtà lessicale in cui la necessità di attribuire razionalità e logica all’accadere incontra il talento per la scorreria, l’attraversamento anche rapinoso, che prende consistenza la prossimità che si mostra come relazione tra ciò che avviene fuori intorno e distante e ciò che nell’immediata vicinanza con il sé si manifesta come attitudine o tensione per la relazione.
Può sussistere dunque che un termine indicatore dell’esigenza di porre ordine, modulare parametri entro i quali pensare e agire si collochi nell’implicanza di un altro che – per immaginario o costituzione propria – indica il contrario, quantomeno una modalità di avvicinamento-allontanamento delegata all’ immaginazione, all’improvvisazione, all’assalto. Così, reciprocamente, i due termini si integrano e insieme procedono a disegnare il mondo attraversato e la visione poetica di Raimondo che declina – nelle sezioni “Teoria”, “Geografie”, “Bestiario”, “L’amore, il viaggio e la rapina” – circostanze, particolari, interdipendenze emozionali, transizioni metaforiche, contraddizioni, un cosmo di umana avventura che alla fine si rivela un ordine tassonomico esperienziale, tanto urge al poeta connotare finemente l’esperito entro la memoria, poiché ogni appuntamento con la vita è degno di non cancellazione, francescano: “Il giaguaro più affamato mi fu mastro…”, “Lo scorpioncino vile e risoluto mi fu amico…”, “E mi fu mastra la iena,/di cui tutta la giungla ha paura,/perché è folle e caina e sincera.” (La giungla).
Se nella sezione “Bestiario” il poeta consegna caratteri e dinamiche morali umane attribuendoli agli animali, a loro volta espressione di simboli e archetipi, e in questo avvicinandoci gli ascendenti in Esopo e La Fontaine, o dichiara la relazione che intercorre tra lui e le presenze umane e oggettuali nel quotidiano che lo riguarda anche come poeta “Andate cari amici altripoeti//verso un’ecologia del verso,//altrimenti andate a fare il cuculo/per carnevale/a greggi di mille;/andate oppure a scuola di movimenti,/a lezioni di scrittura creativa/e d’altri iorientamenti.//Le aquile/non volano a stormi.” (Io e gli altri) connotando la forte esigenza di rigore ontologico, la ricerca di una aristocrazia di pensiero che innalzi dall’ordinario in agguato sul piano personale e costante su quello collettivo “Crede che esiste un perché/già nel perché, nei già più nascosti.// (Zazzamita) , la brevissima “Teoria” apre alla certificazione del suo darsi in umanità e poesia dichiarando che il viaggio avviene per unità e non dissociazione tra l’uomo e il poeta, consumando tutta la rotta nella domanda “Ero io, non ero io?”, costatando che “La Parola conquistò/tutto lo spazio dentro//e// catapultatasi fuori//si gettò alla conquista degli astri//, dimostrando l’intelligenza dell’umiltà“E mai una volta/che mi sia venuto in mente/d’essere io a tracciare la rotta,/dominare l’orizzonte,/la meta…” (Teoria del pirata) che consente di accedere agli spazi di “Geografie” in cui i luoghi attraversati sono quadri di grandi specchiature, ritrovamenti di sé in altri, riscontri e ritorni inevitabili di parti altrui nella propria pupilla, all’occhio mai sazio di prospettiva dove il punto di fuga accoglie la lunga declinazione di paesaggio reale e metaforico in un versificare assertivo, lievemente crepuscolare, in cui la padronanza rimica esprime la frequentazione metabolizzata della grande poesia “E’ il silenzio della sera/quando cala/piano piano/e si posa come un velo/sul pezzetto del tuo cielo/e lascia/quel sentore di mistero:/altissimi e bassissimi furori/che si spalancano sotto la tua Luna.” (Via Plebiscito)
In fine, a ribadire che nel mondo si sta per accadimenti che ci implicano nonostante il chiamarci fuori, o il procastinare la responsabilità o il solo coniugare l’azione, s’incontra – quasi condensazione dei temi trattati nelle precedenti sezioni – “L’amore, il viaggio” e la rapina in cui, sotto la devozione alla parola dei poeti amati, al valore della parola, alloggia il dono che Raimondo fa a se stesso e per principio osmotico a chi legge: fedeltà all’essere-essersi presenza “Bentornata, Costanza sei venti,/senti come cerco d’imitare inutilmente/il jazz dell’anima e del cuore,/senti come/sono sciocche le parole.//”, [è un riferimento a D’annunzio, La sera fiesolana, che a sua volta è un riferimento a S. Francesco] accoglienza “Ma dolci ti sian le mie parole/sul drappo del cielo/arrampicate,/ti sian come lucciole di note,/Regina,/compagnia per le tue stelle.//”, libertà dal giudizio, dalle asperità del ragionare “Non giudicarle queste mie parole,/non farle troppo sciocche o troppo vere,/non farle troppo belle/queste idiote metafore del cuore./” (La costanza dei venti), ricerca e attribuzione di senso ai fatti dell’amore “E’ come se io, qui, tutto questo avessi attraversato/solo per capire te, le tue tattiche di fughe perfette,/le tue disgraziatissime paure che t’invischiano il cuore,/le equazioni di tutti i tuoi rancori, e delle turbe i tuoi frattali,/e l’aritmetica dei tuoi r-umori silenziosi,/e il segreto del tuo sguardo/ch’è un muto, enorme, disperato grido…/”, immersione appassionata nello scorrere della vita e le sue movenze seducenti, nelle incisioni del tempo:

Fortuna che agosto è lungo,
posso ritardare.
Lo studio lo comincio domani,
domani.

Oggi che senso ha?
Ha il senso d’una frattura
che s’agita stanca fra un lembo e l’altro di terra.

Rimando a domani tutto,
i progetti per il futuro,
la sessione di settembre,
i complessi d’autostima, tutto.

Oggi, il mio cuore è un farabutto,
lo prende una strana euforia
al richiamo di venti originari
che squillano l’amore, il viaggio e la rapina
- che magia!

Vita, vita quasi mia,
vita che mi sfuggi e sei presuntuosa,
vita che fai le moine, cavalla stronza,
io innamorato pazzo, tu
crudele piccola sciantosa.

Adriana Gloria Marigo