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Affaire Uffizi: il renzismo chiama e il giornalismo italico risponde, dal Corriere a quello che non dice Zagrebelsky. E su LA STAMPA di Mario Calabresi sola soletta su Amazon.

Creato il 20 agosto 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
corrieredi Rina Brundu. Il kindle paperwhite è un “lettore” straordinario. Non importa dove ti trovi, in cima a una montagna o in riva al mare, riesci sempre a scaricare qualsiasi testo ti venga voglia di leggere in quel momento e grazie al particolare schermo digitale riesci a leggere senza problemi a qualsiasi ora del giorno anche in una giornata di solleone infuocato. Oggi l’ho portato al mare. Dopo un po’ mi è venuta voglia di leggere un giornale e decido di comprarlo online: uno italiano tanto per cambiare! Rapida ricerca e cosa scopro? Che tra i 139 quotidiani acquistabili su Amazon ce n’é solo uno nostrano: LA STAMPA di Mario Calabresi.

Incredibile ma vero i giornali italiani non sono su Amazon!, che è un poco come dire che non esistono. Eppure – e l’esperienza odierna me l’ha confermato – leggere un giornale sul kindle è un esperienza validissima. Non solo ho letto tutto il quotidiano, anche gli articoletti più insignificanti e i pezzi di cronaca locale che non leggo mai; non solo non ho avuto i soliti problemi che si hanno coi giornali cartacei quando tira vento o sei seduta sulla sabbia, ma l’edizione di oggi resterà per sempre nella mia biblioteca virtuale diventando a suo modo un ricordo indelebile di questa bellissima giornata spesa in una spiaggia sarda. Niente Stampa italiana su Amazon, dunque: poi dicono buttati sul The New York Times, ci sarà un perché?

È stato però quando ho cominciato a leggere che l’entusiasmo si è smorzato e ho scoperto come il renzismo abbia fatto appello ad ogni organo di stampa di buona volontà per giustificare e spiegare la sua scelta di svendere l’identità culturale italiana al miglior acquirente.. pardon, manager, straniero. Già ieri sera sul Corriere.it (vedi featured image) era apparso il solito poster lenzuolo teso a ricordarci come molti siano anche i direttori italiani di musei stranieri e oggi era evidentemente il turno de LA STAMPA. In realtà il giornale del pur bravo Calabresi ha finanche raddoppiato la dose con tanto di intervista al ministro dei beni culturali Dario Franceschini e con un editoriale di Zagrebelsky.

Per il rispetto che comunque devo al mio neurone rincoglionito passo sull’intervista concordata con Franceschini ma resto davvero perplessa davanti alla valenza meramente epidermica, finanche populistica, dello scritto di Zagrebelsky titolato “Gli assurdi steccati nazionalistici”. Da un intellettuale del suo calibro ci si aspetta molto di più e ci si aspetta che vada direttamente al nocciolo del problema. Lo “scandalo” del recente “appalto” dei nostri musei – primo fra tutti gli Uffizi che arte alla mano è il museo più importante al mondo sotto ogni punto di vista (i.e. non sarà Schmidt a dare lustro agli Uffizi ma sono gli Uffizi che hanno appena fatto il suo curriculum!) – in mani straniere, non sta nel fatto che quei dirigenti sono stranieri (di quale steccato nazionalistico stiamo parlando?), ma nel fatto che si è trattato di una operazione che rientra a pieno titolo dentro il piano “edonistico-riformistico” renziano distopicamente teso a “far ripartire” l’Italia, a cambiarla (o svilirla, a seconda delle prospettive), sotto la spinta di una sempre più spastica Sindrome dell’Headless Chicken.

C’é insomma una Italia – come è l’Italia della nostra eredità culturale unica – che cambierebbe per il meglio solo se prendesse maggiore coscienza del suo valore, prendesse tra le mani il suo destino, esportasse il suo atavico expertise artistico (con tutto il rispetto per Schmidt) nel mondo. E lo facesse con orgoglio. Che poi c’é una cosa che davvero non mi è chiara e nessuno ha spiegato, tanto meno Zagrebelsky: che cosa dovremmo imparare da questi manager stranieri? Che occorre fare quella modifica lì, costruire quella navetta là? Che bisogna gestire le risorse umane e le scalette operative diversamente? Qualsiasi studente di management della Bocconi sarebbe in grado di fare questo e probabilmente meglio dei suoi attempati colleghi. Il problema però è che in Italia, alfine di ottenere il risultato, occorre prima di tutto cambiare la testa della gente, un compito che francamente non affiderei mai a un manager tedesco perso tra i vicoli fiorentini. Occorre insomma una rivoluzione culturale che non si promuove con i metodi gattopardici e da furbizia conclamata tipici del renzismo, quanto piuttosto con un reale “cambiamento” che dovrà per forza di cosa partire pure dal basso, inteso anche come direzione dell’azione politica. Il che significa avendo il coraggio di scontentare le masse mica facendole fesse e contente regalando posti fissi travestiti da riforma e/o 80 euro al mese che prima o poi qualcuno dovrà pagare.


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