Affidamento condiviso: dalla teoria alla realtà

Da Psychomer
by Cristina Rizzi on aprile 20, 2012

La Legge sull’affidamento condiviso n. 54, entrata in regime dal 2006, nasce dalla consapevolezza della necessità di rafforzare gli strumenti di tutela dei figli nell’iter della separazione e interviene con lo scopo di favorire un rapporto equilibrato del minore con entrambi i genitori anche in caso di dissoluzione della famiglia ed in uno spazio-tempo in cui la conflittualità e le tensioni agiscono pregiudicando la posizione dei figli che ne sono coinvolti.

Viene promossa la bigenitorialità, la capacità degli adulti di coordinarsi nei loro ruoli genitoriali, in un’ottica di vicendevole supporto, mutuo investimento e coinvolgimento nel crescere congiuntamente i figli.

Con l’affido condiviso si auspica che la  “dissociazione coniugale” si trasformi in una “intesa genitoriale”, fondata su un rapporto di collaborazione e di dialogo, in modo da garantire la serenità dei figli: ambedue le figure genitoriali dovrebbero favorire e non ostacolare la relazione con l’altro genitore, continuando a svolgere i ruoli di padre e madre e a riconoscersi come tali. Condividere, quindi, perché si è divisi ma si partecipa ad un compito comune.

Ciò che caratterizza la genitorialità responsabile è il capovolgimento del sentimento “il figlio è mio” in quello “ho il dovere di cura del mio figlio”; esso comporta che i genitori si mettano a disposizione dei figli, assumano un impegno adulto cosciente e ne rispettino le altruità di persona in crescita: l’interesse del minore è quello di di non essere sradicato, di non perdere la propria storia, di non essere travolto dal conflitto coniugale.

Nella realtà un tale affidamento può avvenire serenamente a condizione che vi sia disponibilità a lasciare che il minore acceda all’altro genitore, a rispettare ed apprezzare l’impegno dell’altro, a tollerare le differenze nei valori e nei comportamenti, ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni, ad avere una concomitante fiducia reciproca, poiché la sfiducia genera ansia e necessità di costante controllo e squalifica.

Per poter accettare che un figlio trascorra del tempo con l’ex coniuge occorre quindi che, sebbene lo si ricordi come un pessimo marito, se ne abbia quindi almeno una qualche stima come genitore, considerandolo una persona affidabile.

Tuttavia il conflitto diadico ha quasi sempre come prima vittima proprio il rispetto dell’altro come genitore e, anzi, si ha la tentazione di ferirlo e di colpirlo nel suo rapporto coi figli, uno degli aspetti in cui può essere maggiormente vulnerabile.  In questi casi i figli da essere “soggetto primo” nella separazione divengono oggetto “usato” alternativamente dalle due parti con sottili coercizioni psicologiche per indurlo a prendere posizione e a scegliere, divengono parafulmini di frustrazioni da compensare, costretti da un’affettività irreggimentata in schemi ed orari, stravolti nelle loro abitudini e sicurezze.

Emerge l’immagine di un bambino intrappolato e vittima della situazione, costretto a scelte di alleanze laceranti, invischiato nel conflitto per il timore di non essere più amato: è completamente in balia degli adulti. In quest’ambito si annidano forme nascoste di violenza e di uso strumentale, celate dalla sacralità dell’amore, allo scopo di legare in modo preferenziale il figlio a sé.

Bibliografia essenziale

CIGOLI, V., GALIMBERTI, C. & MOMBELLI, M. (1988). Il legame disperante. Il divorzio come dramma di genitori e figli. Milano: Giuffrè.

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