Come si può sostenere ancora che il fondamento della Repubblica è il Lavoro, quando i dati nudi e crudi dimostrano che sempre più italiani non lavorano? Come si può se i dati nudi e crudi stanno li ha dire che soprattutto i giovani italiani, nella misura di circa il 30% di loro, un lavoro proprio non riescono a trovarlo?
Puntuale ad intervenire sull'argomento è stato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ligio al suo ruolo super partes se l'è cavata con un richiamo a "fare squadra", nemmeno fosse il presidente della Ferrari, invece che della Repubblica.
Eppure il tema preoccupa e molto un po' tutti. Soprattutto i sindacati, ormai disuniti su tutto e incapaci di perseguire quello che dovrebbe essere il loro scopo principale, quello di tutelare i diritti dei lavoratori, trasformatisi come sono in associazioni a tutela di pensionati e immigrati senza lavoro certo, con apparati burocratici chiamati ad assolvere compiti molto diversi da quelli per i quali dovrebbero impegnarsi.
I sindacati si scoprono oggi ancora più fragili degli anni passati davanti alle sfide del mondo contemporaneo. Incapaci di progettare il futuro, ma impegnati nella difesa dei privilegi acquisiti in passato.
Perché se è pubblicamente sempre attuale la lotta per affermare i principi costituzionali attinenti i diritti individuali, sempre essi tacciono sull'attuare quelli che direttamente li chiamano in causa agli artt 39 e seguenti.
In realtà da sempre sembra che esistano due diversi dettati costituzionali: uno considerato alla stregua delle tavole della Legge consegnate da Dio a Mosè sul monte Sinai; l'altro un testo secondario, da poter interpretare e ignorare a piacimento.
La realtà che ci troviamo a vivere dimostra che di errori in tema di lavoro e di funzionamento del suo mercato ne sono stati commessi tanti in passato. Da almeno 40 anni l'Italia è in declino economico proprio perchè chi di dovere non è stato capace di prevedere come il mondo delleconomia e della produzione si sarebbe e voluto e, di conseguenza, provvedere ad indirizzare la società italiana nella direzione giusta per approfittare delle occasioni favorevoli.
La conferma della inadeguatezza di quanti furono chiamati a prendere quelle importanti decisioni ce la fornisce oggi l'On. Fausto Bertinotti, a lungo uno dei dirigenti di punta del maggiore sindacato italiano, prima di divenire leader del partito per la Rifondazione Comunista.
Secondo Bertinotti la colpa è tutta della scuola riformata dal ministro Mariastella Gelmini, che in soli tre anni sarebbe riuscita a "svalutare il lavoro manuale", distruggendo gli istituti tecnici.
Fossi nei familiari dell'On Bertinotti mi preoccuperei della salute del loro congiunto, che la memoria dell'ex leader di Rifondazione non sembra più essere sicura come un tempo, se non riesce a ricordare delle battaglie sostenute dalla sinistra italiana per eliminare le differenze tra i vari corsi di studi, per unificare i programmi di studi e per arrivare all'equivalenza dei titoli di studio, eliminando il più possibile ogni riferimento meritocratico.
Tutte battaglie che hanno ottenuto l'unico obiettivo di trasformare la scuola italiana in una fabbrica di diplomi inutili, ottenuti i quali allo studente, diplomato o laureato, non rimaneva altra strada che affidarsi a qualche santo patrono per trovare un qualunque lavoro.
Eppure era stato già Lev Trosky negli anni 20 a criticare pesantemente questi stessi criteri applicati nelle neonate scuole sovietiche, che secondo il rivoluzionario russo altro non facevano che rovinare dei buoni operai facendoli diventari dei pessimi intellettuali.
Pare però che una buona riserva di ottimi artigiani possa arrivare dal Nord Africa, almeno a sentire certi scienziati della politica nostrana, perché sembrerebbe che un giovane tunisino sia in grado di fare quel tipo di lavoro quanto un concittadino (dire meglio o peggio sarebbe fare una discriminazione razziale) si accontenterebbe solo di un terzo del guadagno e non si lamenterebbe nemmeno.
Ma in attesa di chiarirci meglio le idee godiamoci il concertone annuale offerto dai sindacati, che almeno una volta all'anno riescono almeno a creare pure qualche posto di lavoro a quanti l'avvenimento concorrono a realizzare (sperando che siano pagati e non al nero).
Concertone che quest'anno sembra essere, complice il 150 anniversario dell'Unità d'Italia, permeato da un un inaspettato sentimento nazionalista.
Laddove sventolavano orgogliose le bandiere rosse (ma anche cubane, cinesi, nord coreane) svetterà il tricolore?