Fra le varie cose che gli europei hanno importato dall’Europa c’è la libertà di stampa. Forse non la libertà assoluta, visto che anni fa anche i giornalisti dell’Africa del Sud hanno avuto i loro problemi quando si permettevano di criticare l’apartheid o di parlare bene di Nelson Mandela. Ma gli europei hanno importato una cosa fondamentale: l’idea che la stampa debba essere libera. In poche parole, l’idea della libertà di espressione.
In generale i governi africani temono la libertà di espressione come la peste. E oltre a temerla, non la capiscono. Per loro si tratta di un capriccio dei bianchi, di una moda balorda, di un segno di decadenza. Tutti sanno che in un paese il capotribù, il re o il presidente pensa per tutti e chi non pensa come lui si è praticamente scavato la fossa. Per secoli l’Africa ha funzionato così. Perché cambiare?
Già, perché? Se lo è chiesto anche l’attuale governo sudafricano, affrettandosi a correre ai ripari con il progetto di un tribunale dei media e una legge sulla protezione dell’informazione. Cosi' la stampa sudafricana si sente nel mirino non soltanto di Pretoria, ma anche del partito al potere, l’African National Congress (ANC), che propone addirittura l’istituzione di un tribunale speciale per giudicarla.
Secondo l’ANC, l’autoregolamentazione della stampa attualmente in vigore è inefficace per proteggere gli individui dagli attacchi mediatici. Ma secondo Robert Pithouse, politologo all’università di Rhodes (Cap-Oriental), “il partito cerca soprattutto di sottomettere i media a un regime più autoritario.” Con questa legge, infatti, si vorrebbe controllare i giornali che denunciano la corruzione della cricca al potere, minacciando di sbattere i giornalisti in galera o almeno di spennarli con salatissime multe. In poche parole, si vorrebbe mettere la museruola a chi parla male di Zuma e dei suoi accoliti.
Naturalmente l’associazione nazionale sudafricana di caporedattori (SANEF) non è d’accordo: “Un tribunale dei media sarebbe incostituzionale e contrario alla libertà di stampa.” Allo stesso modo la legge detta “del segreto” tradisce il tentativo di Pretoria di controllare l’informazione. Il testo penalizza soprattutto la rivelazione d’informazioni classificate “segrete”, senza riconoscere la nozione d’interesse pubblico come si dovrebbe fare in un regime democratico. Secondo Richard Pithouse “permette allo Stato di bloccare le inchieste imbarazzanti.”
Va detto che il Sudafrica si ritrova con una delle legislazioni più progressiste del mondo, così la società civile si ribella a questo tentativo di riforma. La campagna Right to Know (Diritto di Sapere) ha mobilitato migliaia di persone e centinaia di organizzazioni di difesa della libertà di stampa e dei diritto dell’uomo.
Anche le principali agenzie mondiali (Reuters, AP, AFP, Bloomberg e l’Istituto Internazionale della Stampa) hanno scritto al presidente sudafricano Jacob Zuma perché siano soppresse le clausole più restrittive. Poveri illusi, scrivono proprio a quello che ha più interesse a mantenerle. Per giustificare le riforme, l’ANC rimprovera alla stampa di rappresentare soprattutto un’élite liberale. Troppa stampa anglofona e afrikaan, dicono, la maggioranza nera non è abbastanza rappresentata. In poche parole, lasciamo perdere questi capricci di bianchi e cambiamo tutto perché non cambi niente.
Dragor