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Africa sub-Sahariana (e non solo) / Urge vincere la fame

Creato il 24 maggio 2012 da Marianna06

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Non è una novità quello che stiamo per dire ma,come stigmatizzavano sovente i latini,”repetita iuvant”.

E’ importante,infatti, che il concetto, gradualmente ruminato, sia metabolizzato e faccia parte poi dell’intero organismo.

E l’organismo in questo caso siamo  tutti noi. E anche  loro. Gli stessi africani.

Insieme e con i nostri reciproci programmi, le nostre comuni ricette mirate, studiate a tavolino e verificate sul campo,occorre che c’impegniamo presto e bene per cancellare definitivamente una “vergogna”, che è insoluta da troppo tempo.

“I Paesi dell’Africa Sub-Sahariana non riusciranno a sostenere la loro rapida crescita economica se non elimineranno la fame”.

Questa è la premessa e la raccomandazione-input di un recente e ben articolato studio del Fondo delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), il cui titolo è : “Rapporto sullo sviluppo umano in Africa 2012”. E che io condivido.

Secondo questo studio in tutto il continente  ci sono al momento qualcosa come circa 218 milioni di persone, che soffrono di denutrizione, di  cui 55 milioni sono bambini  e più del 40% hanno un’ètà sotto i cinque anni.

Alla fine degli anni’90 ,sempre in un  Rapporto-Fao si diceva, allora, di 200 milioni di bambini.

E’  evidente, da allora ad oggi, una crescita demografica, che deve mettere in allarme.

Il Rapporto 2012dell’UNDP, l ultimo, evidenzia che questa condizione comporta per i bambini il rischio di soffrire di disabilità mentali e fisiche permanenti, specie con il trascorrere degli anni.

E , sempre lo stesso, precisa che negli ultimi dieci anni le economie africane sono cresciute, quasi tutte e  complessivamente almeno  del 5% annuo. Tuttavia poco o  nulla è stato fatto per ridurre fame e povertà .

E  non è neanche difficilissimo immaginarne il perché.

Anche se avessimo le stime percentuali, esse non ci dicono niente.

 C’è sempre, lo sappiamo,  e non solo in Africa,chi mangia troppo e chi per niente.

Ecco allora che le conclusioni, cui perviene il Rapporto dell’UNDP, sono quelle dell’investire di più nell’agricoltura per assicurare una crescita sostenibile (anche in vista di fosche e serie previsioni quanto a risorse alimentari e loro rincari, a breve) e magari una riduzione della povertà duratura.

Brutta aggettivazione povertà duratura. Sa di quasi accettazione. Di rassegnazione.

Ma lasciamo perdere.

 Troppe bocche da sfamare o troppa ingiustizia in Africa e nel resto del mondo-straccione?

E soprattutto, sempre il Rapporto precisa, che in Africa, per lo sviluppo e la crescita economica e culturale del continente, c’è bisogno di una popolazione in salute, scolarizzata e in grado di essere produttiva.

Questo è un assunto fondamentale, che anche gli africani ormai, grazia al cielo, hanno fatto proprio.

Manca un giorno alla ricorrenza della Giornata Mondiale dell’Africa.

Si faccia in modo che la “festa” sia convincente e duri nel tempo per il “festeggiato”.

Si progetti con serietà mirata il da farsi. E che i progetti rispondano alle esigenze del contesto a garanzia di una certa sicurezza,anche e sopratutto alimentare, che di questi tempi pare vacilli di più di anni addietro.

Si tenga presente, prescindendo dall’invasione delle multinazionali dell’agro-alimentare, lì dove esse trovano disponibilità e accoglienza da parte di politici addomesticabili, anche come affrontare, ad esempio, i danni del disboscamento nelle aree rurali, dove giustamente, in mancanza di altro, la gente taglia alberi per gli usi di cucina o per riscaldarsi.

Oppure si guardi al pericolo dei pascoli incontrollati E quindi di una certa educazione da impartire in loco, comunque, a pastori ed allevatori.

Anche questo è degrado del suolo, maltrattamento della “terra”, che in questo modo non potrà certo dare i  frutti sperati.

I demografi sostengono che nel 2025 ci saranno, Africa compresa, tre miliardi in più di persone da sfamare.

Mi pare che non ci sia molto tempo da perdere.

Il tempo, appunto, vola. E il 2025 non è poi così lontano.

 

   A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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