After Earth- Dopo la fine del mondo

Creato il 27 giugno 2013 da Af68 @AntonioFalcone1

Mille anni fa i superstiti del genere umano erano costretti ad abbandonare la Terra, sconvolta da eventi catastrofici che ne mutavano irrimediabilmente le condizioni di vita, e a trasferirsi su un nuovo pianeta, Nova Prime, dove avviare una nuova civiltà. La loro esistenza, minacciata dagli attacchi degli alieni Skrel perpetrati tramite immonde creature (Ursa), è ora preservata dall’ United Ranger Corps, un ben addestrato apparato militare, al cui interno si distingue per intraprendenza e coraggio il Primo Comandante, Cypher Raige (Will Smith), che ha intuito come, annientando qualsiasi emozione (ghosting), sia possibile avere la meglio sui “mostri”, ciechi ma capaci di individuare le loro prede, fiutando i feromoni rilasciati quando si è presi dalla paura.

Will Smith

Suo figlio Kitai (Jaden Smith), recluta del suddetto apparato militare, vorrebbe emularne le gesta, ma non riesce a superare l’esame d’ammissione e, considerato anche il loro rapporto, basato su una reciproca conflittualità, Cypher, consigliato dalla moglie, decide di provare a ricostruire un legame portando il ragazzo con sé in un’ultima missione.
La navicella sarà però costretta ad un atterraggio di fortuna proprio su quel pianeta ora invivibile per gli esseri umani, la Terra: unici sopravvissuti il Comandante e Kitai, ma, con il primo ridotto all’immobilità, toccherà al secondo darsi da fare per lanciare un messaggio di soccorso…

Jaden Smith

Diretto da M. Night Shyamalan, intervenuto anche nella sceneggiatura, opera di Gary Whitta, basandosi su un soggetto di Will Smith, After Earth nel corso della narrazione si palesa, e si sostanzia, come un film di fantascienza la cui appartenenza al genere appare risolta in modo del tutto formale: l’aspetto distopico e le conseguenti tematiche passano infatti velocemente in secondo piano, risultando un frettoloso abbozzo utile a delineare al più presto quello che risulta esserne il fulcro essenziale, ovvero il conflitto irrisolto padre/figlio, la loro maturazione reciproca, metaforizzata dal tema del viaggio, volta a superare la tragicità di un avvenimento passato che li ha allontanati l’uno dall’altro, attraverso un confronto delle rispettive capacità che assume toni piuttosto aspri e li porterà, se non ad una e vera espiazione, almeno a fare chiarezza all’interno di sé e a conferire un senso alle proprie esistenze e relative condotte di vita.

La mia sensazione complessiva è stata quella di aver assistito al confezionamento di un classico lavoro su commissione: Shyamalan, per quanto sempre abile a creare almeno un minimo sindacale, e funzionale, di tensione, mi è parso piuttosto distante dai guizzi inventivi di un tempo (difficile non notare la mancanza del tipico finale ribaltato, volto a conferire tutt’altro significato a quanto percepito durante la visione, anche a livello di semplice suggestione) ed intento più semplicemente ad assecondare un incedere narrativo suddiviso in blocchi, all’interno dei quali viene inserita tutta una serie di flashback “illuminanti”, riuscendo ad offrire un certo fascino visivo complessivo (i caratteristici campi lunghi), ma non certo a rendere un senso di visionarietà propriamente detta.

Alla sceneggiatura sin troppo piatta e schematica, labile e prevedibile (evento disastroso/inabilità all’azione dell’eroe/ schiappa all’opera tra mille pericoli/happy end liberatorio), ad un certo punto inframmezzata da forzati simbolismi e scene oniriche sul filo del ridicolo (o, volendo essere gentili, lontane dalla disinvoltura con la quale il regista era solito proporle), fa buona compagnia l’infelice scelta di poggiare il tutto sulle spalle di Jaden Smith, a mio avviso potenzialmente ma non concretamente capace di sostenere un film per intero, in particolare nello sviluppare un minimo d’empatia con gli spettatori, come purtroppo succede anche a babbo Will, costretto a star fermo e piuttosto granitico nell’esprimere l’intento d’evidenziare variazioni umorali con la mimica facciale.

Pur nella godibilità complessiva e qualche felice intuizione sparsa qua e là (la Terra, libera dagli umani, capace di manifestare tutta la sua potenzialità, il minimalismo estetico di Nova Prime, testimone di uno stile di vita più meditato ed essenziale), unite alla sempre valida tematica propria di un buon racconto di formazione (vedi Moby Dick citato a piè sospinto), After Earth si arena nel semplicismo di un’idea appena abbozzata, bloccata dal tentativo di conferirle un minimo di dimensione artistica, assumendo come base programmatica la sua frase di lancio, oltre che insistito leitmotiv: “Il pericolo (che Shyamalan non abbia più nulla da dire, mancando della necessaria ispirazione per farlo) è reale, la paura ( di sguazzare nell’oblio) una scelta”.


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